Non ci fu evasione, Bardelli e Usoni assolti

UDINE. Assolti con formula piena «perchè il fatto non sussiste». È una sentenza che non lascia spazio a interpretazioni quella pronunciata dal giudice monocratico del tribunale di Udine, Mauro Qualizza, nel processo a carico dell’imprenditore Antonio Maria Bardelli, 61 anni, di Moruzzo, e del commercialista Gianattilio Usoni, 49, di Udine.
Entrambi erano chiamati a rispondere di evasione delle imposte con il trucco dell’esterovestizione. Ossia attraverso la costituzione di una società con sede formale in Lussemburgo, Paese a fiscalità notoriamente agevolata, ma di fatto amministrata dall’Italia. Il pm Marco Panzeri, titolare del fascicolo, aveva chiesto la condanna a un anno di reclusione l’uno.
Ecco la mappa dei beni confiscati realizzata da Confiscati Bene (dati dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati)
Il procedimento giudiziario aveva segnato già un primo punto a favore di Bardelli e Usoni l’anno scorso, quando il Riesame aveva disposto il dissequestro di beni per complessivi 1,6 milioni di euro, che erano stati loro sigillati ai fini della confisca per equivalente.
E qualche mese fa dalla Corte d’appello di Trieste era arrivata anche la conferma dell’assoluzione che lo stesso giudice Qualizza aveva emesso nel 2013 nei confronti di Bardelli per un altro presunto caso di “dribbling fiscale” (riferito alla dichiarazione dei redditi degli anni 2005, 2006 e 2007). È sufficiente sfogliare il giornale dello scorso 19 marzo, invece, per trovare notizia dell’assoluzione che Usoni ha ottenuto insieme ai coniugi Carletto Tonutti ed Emanuela Zanin, per un’analoga ipotesi di esterovestizione societaria.
La vicenda chiusa con il verdetto di ieri muoveva dagli accertamenti che la Finanza aveva condotto sugli anni di imposta 2008 e 2009: Ires evaso rispettivamente per complessivi 335.727 e 115.624 euro. S
otto la lente, anche questa volta, la “Financiere Concorde Sa”, società costituita nel 1996 in Lussemburgo, appunto, e di cui Bardelli, in tesi accusatoria, sarebbe stato amministratore di fatto e socio occulto e poi socio di maggioranza. «Le decisioni passavano attraverso di lui, con il tramite di Usoni», ha detto il pm, attribuendo al commercialista non soltanto il ruolo di consulente, ideatore e fautore della costituzione della società, ma anche quello di amministratore di fatto.
«Dato per certo e acquisito che ci troviamo di fronte a un caso di esterovestizione – aveva concluso il magistrato – e considerato che parliamo di un imprenditore e di un professionista tutt’altro che sprovveduti, è altrettanto indiscutibile il dolo: l’unica e reale finalità era di ottenere un corposo beneficio fiscale».
Almeno due gli argomenti decisivi portati dalle difese. L’avvocato Giovanni Paolo Businello, che assiste Bardelli, ha ribaltato i termini stessi dell’esposizione accusatoria, ricordando come la Financiere Concorde, nel 2008, avesse cessato di essere holding, diventando una società completamente slegata dalla gestione friulana.
«Visto che c’era la presunzione di residenza fiscale in Italia, Bardelli decise di chiudere – ha spiegato il legale –. La scisse e ne creò una nuova in Lussemburgo, dedicandola alla gestione dei denari incassati con la vendita delle partecipazioni nelle altre società. Tutto si trovava e avveniva lì: sede legale, organi sociali, attività. E lui si limitava a fare ciò che compete a un socio».
E se Bardelli decise di mantenere comunque base in Lussemburgo, fu «per un’opportunità pratica: il rapporto con quel mercato gli garantiva redditi per finanziare il centro commerciale in Friuli». Non basta. «Per non avere fastidi, come il sequestro da 1,6 milioni – continua Businello –, ha anche accettato di essere tassato in Italia sui redditi là realizzati e di pagare il 5per cento in più: il 27,5, invece del 22 previsto in Lussemburgo per l’imposta sui redditi delle società».
Non meno pregnante l’argomentazione portata dal difensore di Usoni, avvocato Maurizio Miculan, che ha insistito sul mancato raggiungimento della soglia di penale rilevanza dell’imposta che si ritiene evasa.
«Cronaca di una sentenza annunciata – commenta il legale –. Dopo l’annullamento del sequestro da parte del Riesame, a seguito della definizione con l’Agenzia delle entrate del debito tributario per valori sensibilmente inferiori a quelli previsti dalla legge (peraltro quella ante riforma che ha alzato la soglia da 150 mila a 250 mila euro, ndr), la vicenda processuale non aveva più nulla di penalmente rilevante. E invece si è voluto proseguire. Ma la sentenza ha spazzato via ogni dubbio».
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