«Non fateci pagare le tasse comunali: stiamo camminando sull’orlo del baratro»

Un’esercente consegna le chiavi del proprio bar a nome di 200 colleghi  «Abbiamo rispettato le regole, ma adesso ci sentiamo presi in giro» 

la protesta

Alessandro Cesare

È riuscita a stento a trattenere le lacrime Debora Del Dò, titolare dell’osteria Da Dalia 3.0, una volta davanti al sindaco. Lei che, simbolicamente a palazzo D’Aronco, rappresentava «la passione e la disperazione» di quasi 200 esercenti di Udine e provincia, protagonisti, martedì sera, della protesta “luminosa” contro il lockdown.

Del Dò ieri ha consegnato nelle mani di Fontanini le chiavi del suo locale, leggendo una lettera contenente le richieste per consentire agli operatori di ripartire: azzeramento di Tosap e Tari oltre a regole chiare per la riapertura: queste le principali istanze di Del Dò.

La rabbia

«Inutile spiegare le difficoltà che stiamo attraversando – ha esordito Del Dò, sostenuta dal compagno Luca Rizzi, anche lui ristoratore – da due mesi a questa parte siamo stati messi all’angolo, dimenticati. Nessuno ci ha interpellato quando, senza preavviso, ci è stata imposta la chiusura delle attività. Abbiamo compreso l’emergenza sanitaria e ci siamo chiusi in casa. Barricati. E nel frattempo passavano i giorni, le settimane, i mesi e tutto taceva. Oggi, come non mai, ci sentiamo presi in giro. Calpestati». Da qui la richiesta di aiuto rivolta al sindaco Fontanini.

I dubbi

«Importanti riviste come Forbes dicono che Udine potrebbe ripartire, ma non è pronta – ha sostenuto Del Dò –. Mancano indicazioni precise su come muoversi per la riapertura: le indiscrezioni parlano di barriere in plexiglass, di termoscanner, di macchine per la sanificazione con ozono. Senza dimenticare il distanziamento sociale. Ipotesi realizzabile al supermercato, meno in osteria o in trattoria. I ristoratori e i baristi, quelli bravi – ha aggiunto – vendono emozioni, regalando risate, brindisi e abbracci. Una realtà che non può essere stravolta mettendo picchetti o spruzzando Amuchina. Amiamo i nostri locali come se fossero casa nostra, anzi molto di più. Accogliamo i clienti, li ascoltiamo, cerchiamo di farli distrarre per dimenticare i brutti pensieri. Questa volta però, siamo noi ad aver bisogno di essere ascoltati e sostenuti».

Le richieste

Del Dò, con un groppo in gola, ha alzato gli occhi rivolgendosi a Fontanini. «Le chiediamo poche cose, quelle che ha il potere di gestire. Non vogliamo la Luna, ci basta poter avere la terra sotto i piedi. Non possiamo continuare a pagare per ciò che ci è stato tolto». La donna, che porta avanti l’attività ai Rizzi, ha snocciolato le richieste al Comune: «Ci aspettiamo aiuti economici concreti utilizzando l’avanzo di amministrazione oltre al mancato pagamento della Tosap e della Tari. Si parla di un avanzo di 9,5 milioni di euro: se i capitali ci sono devono servire per sostenere i cittadini. Tutti gli oneri dovuti al Comune devono decadere al fine di garantirci la sopravvivenza. Non vogliamo e non dobbiamo pagare nulla».

Vicini al baratro

«Stiamo camminando sul confine del baratro – ha detto ancora Del Dò –. Molti miei colleghi vedono nero e sto cominciando anch’io. Vogliamo lavorare, ma non vogliamo aprire per chiudere dopo qualche mese dopo divorati dai debiti e dalla frustrazione di un locale vuoto. Ci chiedete sacrificio. No, il sacrifico lo dovete fare voi tutti mettendovi la mano sulla coscienza e nelle tasche. Abbiamo la pelle dura, ma l’affronto in questo caso penetra come una spada anche attraverso la pelle più dura. Abbiamo protestato senza alzare la voce perché il silenzio a volte vale più di mille inutili parole. Ora – ha concluso – tocca a voi tacere e agire».

La risposta del sindaco

Fontanini ha apprezzato le modalità con cui si è svolta la consegna simbolica della chiavi, definendola una protesta «civile e intelligente» contro «l’assurda e pericolosa decisione del Governo di fissare la data di riapertura dei locali per il primo giugno». «Ho ascoltato parole di rabbia e di commozione – ha risposto insieme al suo vice Loris Michelini e dall’assessore alle Attività produttive Maurizio Franz – che rappresentano la migliore testimonianza delle difficoltà affrontate dalla categoria, espressione della passione di chi lavora in questo settore. Ho spiegato quello che il Comune ha fatto e ha intenzione di fare, dalla sospensione della tassa sui rifiuti e sull’occupazione del suolo pubblico all’ampliamento gratuito delle superfici esterne al calmieramento dei costi degli affitti. Ma non basta – ha chiarito il primo cittadino –. Occorre che il Governo non solo permetta l’apertura immediata, almeno in realtà come quella di Udine in cui la situazione è sotto controllo, ma dica in che modo dovrà avvenire, quali saranno le misure che i locali dovranno adottare e quali azioni verranno messe in campo a livello centrale per evitare che un intero comparto diventi la vittima sacrificale di questa epidemia, con conseguenze sociali drammatiche a partire dalle famiglie dei titolari, dei gestori e dei dipendenti».

L’appello al governo centrale

Chiudendo il suo intervento, Fontanini si è rivolto al premier Giuseppe Conte, a cui ha scritto una lettera qualche giorno fa. «Udine ha dimostrato di saper gestire l’emergenza, ora pretendiamo di poter dimostrate che siamo in grado di tornare in sicurezza alla normalità». Una normalità fatta di sacrificio, di rispetto delle regole e di lavoro. —

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