"Non favorì la concorrenza": ex dipendente vince su Danieli

L’azienda lo aveva accusato d’infedeltà e preteso la restituzione del compenso da 183 mila euro. Il giudice del lavoro ha respinto la richiesta dei danni e condannato il gruppo alle spese di giudizio

UDINE. Il suo lavoro in Danieli era stato a tal punto apprezzato, che dopo la pensione l’azienda aveva deciso di riprenderlo in servizio con un contratto di collaborazione a progetto. Era il 2012 e per quel solo anno di attività gli era stato corrisposto un compenso pari a 165.500 euro.

Ma poi, a distanza di un anno dalla fine dell’incarico e a pagamento saldato, il gruppo gli aveva fatto causa, accusandolo di «violazione dell’obbligo di fedeltà, riservatezza e divieto di concorrenza» e pretendendo la restituzione dell’intera somma, comprensiva anche dei costi delle trasferte, per un ammontare complessivo di 183.012,44 euro.

La sentenza del giudice del lavoro di Udine ha respinto la domanda e condannato invece la multinazionale di Buttrio al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in 8.800 euro, a favore del suo ex dipendente.

Il caso non è affatto isolato. Di fronte al sospetto che manager, tecnici e ingegneri, anche stimati e specchiati, possano approfittare della propria posizione per sfruttare all’esterno e nel proprio esclusivo interesse know-how e contatti acquisiti lavorando all’interno del gruppo, ha costretto Danieli a promuovere nel tempo diverse azioni legali.

Comprese quelle sfociate in procedimenti penali per rivelazione di segreto industriale. Questa volta, però, il tribunale non ha ravvisato alcun riscontro all’ipotizzata infedeltà del professionista e dichiarato inammissibile la richiesta di risarcimento.

In Danieli dal 1977, l’uomo, che ha 67 anni ed è di Udine, ne era diventato collaboratore dopo la quiescienza, a partire dal 2005. Il contratto finito al centro della causa aveva come obiettivo il “Consolidamento del prodotto allunghe in termini di prodotto competitivo” e richiedeva da lui un impegno, in particolare, in termini di coordinamento degli uffici di progettazione.

Secondo l’azienda, però, nei dodici mesi del suo incarico, avrebbe intrattenuto rapporti con una delle società concorrenti, agevolandola e rappresentandola nelle trattative di acquisizione di imprese italiane produttrici di allunghe. Difeso dall’avvocato Paolo Persello, l’ex dipendente è riuscito a dimostrare l’infondatezza dell’accusa. Tesi peraltro priva di un impianto probatorio, in grado di sostenere l’esistenza stessa di un danno.

«Nel ricorso – osserva anche il giudice, Marina Vitulli – non viene dedotta alcuna diminuzione di fatturato, sviamento di clientela o peggioramento delle condizioni di approvigionamento sul mercato e nulla si dice sugli effetti concreti della presunta attività concorrenziale del collaboratore».

Di contro, a emergere è stato il profitto con il quale il collaboratore aveva adempiuto al contratto e che gli era valso anche un premio una tantum. Parole di compiacimento per l’importanza strategica del lavoro da lui svolto erano state spese dal presidente Giampietro Benedetti in persona, in uno scambio di corrispondenza con il responsabile dell’Ufficio tecnico service, indicandolo quale «buon esempio di diving force».

Il recesso del nuovo contratto di collaborazione a progetto del 2013, peraltro, era stato motivato con il venir meno delle ragioni giustificatrici del progetto stesso e non a causa delle violazioni che gli erano successivamente state contestate. Appurata quindi la completezza e regolarità del lavoro svolto, il giudice ha escluso qualsiasi possibilità di restituzione del relativo corrispettivo e rimesso a Danieli le spese del processo.

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