Non pretendiamo di avere figli fenomeni

Giampietro Zuccon, il primo allenatore di Roberto Baggio nelle giovanili del Vicenza raccontava che, quando la mamma lo accompagnava agli allenamenti, si dimostrava sempre umile e disponibile, non avanzava mai pretese di nessun tipo. E suo figlio sì, che era un fenomeno. Chiedetelo a un allenatore delle giovanili qualsiasi: quello che accade oggi è più spesso l’esatto contrario

Dunque: esame di terza media. Il figlio esce col nove. I genitori non ci stanno, fanno ricorso: per loro meritava un dieci. Il Tar li ascolta. Li ascolta bene. Poi decide che la richiesta non solo non può essere accettata, ma li condanna a pagare mille euro di spese legali. È successo in Sicilia, a Canicattì, ma non è così inverosimile possa accadere in molte altre parti d’Italia.



Ora, non è tanto il considerare gli insegnanti un branco di incapaci non in grado di esprimere un giudizio adeguato; non è nemmeno la tendenza di questi ultimi anni di far decidere ai tribunali cose che dovrebbero essere di pertinenza delle scuole. La parte pericolosa è più nascosta, più sottile: la convinzione di avere come figli dei geni. Il giudizio di quell’esame, stando al ricorso dei genitori, era “ottimo” e secondo loro sarebbe dovuto essere “eccellente”. Non gli andava giù insomma che la scuola, il mondo, non riconoscesse quello che a loro sembrava lapalissiano: che il proprio figlio fosse superiore agli altri. Eccellente, infatti, significa “colui che spinge fuori”, che supera gli altri per le proprie qualità.

Qui siamo ben oltre il semplice e sacrosanto errore di percezione dettato dall’amore, perché se è vero che ogni scarrafone è bello a mamma sua, diventa molto rischioso quando il tuo scarrafone è anche necessariamente più intelligente e più capace degli altri. Rischioso per te, genitore, ma soprattutto per lui: ci sarà infatti prima o poi quel dettaglio chiamato realtà contro cui si dovrà scontrare, e quel giorno potrebbe fare molto, molto male.

Giampietro Zuccon, il primo allenatore di Roberto Baggio nelle giovanili del Vicenza raccontava che, quando la mamma lo accompagnava agli allenamenti, si dimostrava sempre umile e disponibile, non avanzava mai pretese di nessun tipo. E suo figlio sì, che era un fenomeno. Chiedetelo a un allenatore delle giovanili qualsiasi: quello che accade oggi è più spesso l’esatto contrario. Per cui va bene, legittimo, giusto aiutare i nostri ragazzi a costruire la fiducia in sé stessi ma, soprattutto a quattordici anni, non pretendiamo di avere dei fenomeni a tutti i costi: nemmeno se lo sono davvero. Se lo sono, prima o poi se ne accorgeranno tutti.

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