Non sa chi è sua madre: a 58 anni cerca la donna che la lasciò dalle suore
UDINE. Ha 58 anni, ma non ha mai saputo di chi è figlia. Abbandonata alla nascita e vissuta fra un istituto e l’altro, l’udinese Maria Grazia Lenise ha deciso di buttarsi fuori da questo silenzio assurdo e totale sulle sue origini e sulla sua identità. Vorrebbe tanto avere notizie di sua madre: la sogna di notte, vorrebbe abbracciarla e magari, sperando di trovarla ancora in vita, accudirla. Cosa che non ha potuto ricevere.
E se così non fosse, almeno conoscere chi era. Forse era una donna di servizio, immagina. A fare questa ricerca, mai osata in tutta la vita, l’ha consigliata ora un’amica.
Lenise stringe fra le mani un documento vergato a mano, un certificato di nascita. Tutto quello che sa di come è venuta al mondo sta in quel foglietto, oltre al nome dell’ostetrica e poco altro, che le suore le hanno riferito quando stava in istituto.
Ecco cosa c’è scritto: il 12 maggio 1958 il dottor Enrico Sandrini, ufficiale dell’anagrafe del Comune di Udine, di fronte a due impiegati testimoni, dichiara che la piccola è nata due giorni prima, «nella casa di via Marangoni 8» (la clinica Quarantotto, con ogni probabilità, suggerisce il giornalista Mario Blasoni): ne fa fede «Germana Zucchiatti nata a San Vito di Fagagna e residente a Udine, quale ostetrica che ha assistito al parto, da donna che non acconsente di essere nominata».
«Non posso tenerla!» aveva gridato la paziente prima di fuggire dall’ospedale, la sera stessa del parto – così ricorda che raccontavano le suore dalle quali aveva trascorso l’infanzia.
Se ne era andata la sua mamma, giusto il tempo di darle il nome, Maria, acconsentendo ad aggiungere Grazia, come suggerito dalla religiosa. «Lenise è frutto di fantasia degli impiegati – riferisce ancora –, visto che il cognome Lenisa è diffuso a Udine». Sempre nel certificato di nascita si attesta che la bambina viene «consegnata al locale Istituto Maternità e Infanzia» per tramite della stessa Zucchiatti.
Fino a sei anni rimase nella struttura di via Diaz. «Vivevo nascosta – racconta Maria Grazia –: nella Casa del Fanciullo avrebbero potuto tenermi solo fino a due anni.
Poi si è liberato un posto in un collegio a Thiene, in provincia di Vicenza, dove sono stata fino a 15 anni. Mi hanno fatto fare le scuole, facevo sport, pallavolo. Imparavo a fare la collaboratrice domestica. Poi in base a nuove leggi sono stata riaffidata al Comune di Udine, che mi ha trovato collocazione da Amelia Papini a Colloredo di Prato, un’organizzazione che accoglieva ragazze con leggera disabilità.
Dove ho lavorato per 24 anni: lavori vari, si confezionavano anche mollette. Poi la signora ha deciso di chiudere, e sono rimasta senza lavoro. A 39 anni, sempre vissuta chiusa in me stessa, senza neppure farmi una famiglia per ricevere quell’affetto che non ho avuto».
In seguito Maria Grazia ha trovato impiego alla Mestieri e Mestieri, e le è stata assegnato pure un alloggio Ater; ha avuto un compagno.
È una donna forte di salute, dove lavora è apprezzata. Le resta la tristezza di non sapere chi è e da dove viene. A scuoterla dalla rassegnazione, Paola Burco di Cargnacco, un’amica vulcanica, che ogni giorno le ripete: «Non devi odiare tua madre, chissà quanto ha sofferto per lasciarti là».
No anzi, la 58enne non nutre rancori. In sogno vede anche un uomo, forse un fratello, senza volto e con un bambino per mano. Ha provato a mandare la sua storia a “Chi l’ha visto?”, ma non è stata giudicata interessante. L’ultimo tentativo, con il nostro giornale. Chi sa qualcosa, racconti. Maria Grazia aspetta a braccia aperte.
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