Nove ottobre 1967-2020, l'anniversario di Che Guevara e il necrologio (da 32 anni) sul Messaggero Veneto

La frase “Numquam Obliviscemur” seguita da 36 firme “per non dimenticare mai e tenere vivo il ricordo di quanti combatterono per la libertà, ma anche con la speranza che quella fiammella rimasta accesa dopo i fuochi rivoluzionari per la libertà del ‘900 possano riaccendersi” hanno spiegato in passato i promotori dell’iniziativa

UDINE.  Anche in questo 9 ottobre 2020, come accade ogni anno dal 1988, lo storiografo di San Giorgio di Nogaro Giorgio Cojaniz, assieme a un gruppo di amici, ha pubblicato sul Messaggero Veneto il necrologio per la morte di Ernesto Che Guevara, nel suo 53esimo anniversario. La frase “Numquam Obliviscemur” seguita da 36 firme “per non dimenticare mai e tenere vivo il ricordo di quanti combatterono per la libertà, ma anche con la speranza che quella fiammella rimasta accesa dopo i fuochi rivoluzionari per la libertà del ‘900 possano riaccendersi” hanno spiegato in passato i promotori dell’iniziativa.

Cojaniz, che in memoria del Comandante ha realizzato un piccolo parco a San Giorgio dove da tempo la prima settimana di agosto riunisce gli amici in suo ricordo cantando le canzoni che ricordano quegli anni e i valori che li contraddistinsero, aveva dichiarato al nostro giornale che con questo necrologio «si vuole tenere viva la fiammella del Che dopo che il fuoco delle rivoluzioni per la libertà del Novecento si è affievolito. Da questa fiammella auspichiamo possano rinascere quegli incendi che contraddistinguono le rivoluzioni per la libertà. La gente ha bisogno di tornare a sperare. Sono passati tanti anni da quegli avvenimenti e noi se oggi possiamo bere assieme un bicchiere in libertà lo dobbiamo a quella generazione di eroi».

“Tutti conoscono la storia e il sacrificio del Che – aveva spiegato Cojaniz in una intervista -. Tutti sanno della sua impari lotta per un utopico riscatto delle classi sociali oppresse, sfruttate e sterminate in ogni parte del mondo e del suo incredibile tentativo di innalzare le coscienze più che impianti industriali sognando la rinascita della dignità dell’uomo. Il 9 ottobre 1967 il sergente boliviano Mario Teran uccideva con due raffiche Ernesto Guevara. Alla fine di luglio del 2006 un soldato boliviano entrò nella redazione del “Deber”, quotidiano di Santa Cruz, chiedendo di pubblicare una nota di ringraziamento ai medici cubani che, in duemila, operavano gratuitamente ancora i poveri del Paese e che avevano restituito la vista anche a suo padre. Come si chiama suo padre, chiese il redattore “Mario Teran”, rispose il soldato e sparì.

L’assassino del “Che” tornava, dopo quarant’anni, dai cubani che aveva sconfitto. Ora, con i nuovi cristallini agli occhi, sparì di nuovo, ma certamente il suo esempio di carnefice, beneficiato dalle sue vittime, rimane prova straordinaria che il sacrificio del Che non è stato vano. Guevara combatteva contro la finanza mondiale che, anche attualmente, è fermamente convinta che il sistema può funzionare e guadagnare senza un servizio sanitario, senza pensioni, senza diritti civili, senza democrazia, tutti elementi che rappresentano intralci e costi impropri da tagliare. Lui lottava contro l’ingiustizia, questo è quello che ci ha lasciato e che è più che mai attuale».

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