Nuova protesta al Cie, immigrati sui tetti
GRADISCA. Clandestini nuovamente sui tetti, è ancora bagarre al Cie di Gradisca. L’allarme è scattato mercoledì sera, quando un gruppo di una ventina di trattenuti all’ex Polonio ha forzato le barriere, riuscendo a uscire dalle vasche di contenimento e a salire nella zona già teatro delle proteste dei giorni scorsi.
Almeno in due hanno tentato senza successo la fuga: uno di loro si è ferito in maniera non grave cadendo a terra nel tentativo di raggiungere il muro di cinta aggrappato a una sorta di fune rudimentale che ha cercato di agganciare alle sbarre. L’uomo non ha voluto desistere dal suo proposito (con gli agenti che avevano piazzato una scala per farlo scendere) quando la corda improvvisata ha ceduto facendogli compiere un volo di 4 metri. È stato soccorso dagli uomini del 118 e ricoverato al nosocomio di Gorizia, dal quale è stato dimesso facendo ritorno al Cie già durante la notte.
Rovinosa caduta anche per un secondo straniero che non è riuscito a scavalcare le barriere per questione di centimetri. Non vi sono stati comunque scontri fra gli “ospiti” e le forze dell’ordine. Fonti interne alla polizia smentiscono con decisione, fra l’altro, la notizia secondo cui anche gli agenti sarebbero saliti sui tetti nel tentativo di riportare nelle camerate i “rivoltosi”. L’ordine della Questura al contrario è quello di controllare la situazione evitando il contatto fisico.
I trattenuti hanno continuato a occupare il tetto per tutta la giornata di ieri, dichiarando di volervi rimanere a oltranza. Il “casus belli” della nuova protesta sono state le convalide di fermo per altri due mesi comminate dal giudice di pace nei confronti di 4 delle persone trattenute al Cie, una delle quali si trova all’ex Polonio da ormai 14 mesi.
Altre persone colpite dal provvedimento hanno moglie e figli nel nostro Paese. Altri due avrebbero inoltrato senza successo richiesta di rimpatrio volontario.
Torna quindi d’attualità il tema dei tempi di “detenzione” nei Cie, tempi che sono acuiti anche dalla lentezza e a volte negligenza con cui i Paesi d’origine di queste persone colpite da decreto di espulsione avviano le procedure di rimpatrio. «Non abbiamo prospettive», «La vita qui non conta più niente», «Siamo come cani, molto meglio il carcere».
Altri ospiti hanno persino chiesto il trasferimento in altri Cie. Nel frattempo il trattenuto algerino che aveva spaccato il naso a un operatore con un pugno al volto è stato processato per direttissima e condannato a sei mesi di reclusione. È stato tradotto a Gorizia, nella casa circondariale via Barzellini.
Ieri sera l’onorevole Serena Pellegrino (Sel) ha svolto una nuova visita al Cie per proporre eventuali mediazioni. La nuova protesta è andata in scena proprio quando a Roma si è svolto un incontro fra i funzionari del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e le Questure il cui territorio ospita un Cie. Sul tavolo le criticità di questi giorni e le possibili soluzioni operative.
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