Omicidio di Tatiana: tre anni di mistero e 25 revolver sospetti

L’inchiesta sul delitto a Villa Calligaris continua contro ignoti. Ma restano perplessità sul risultato della prova dello sparo.
Manzano 13 novembre 2008. Casa omicidio. Telefoto Copyright / Foto Agency Anteprima Udine
Manzano 13 novembre 2008. Casa omicidio. Telefoto Copyright / Foto Agency Anteprima Udine

UDINE. Il giallo sull’omicidio di Tatiana Tulissi segna oggi il terzo giro di boa. Alle 18.32, cioè all’ora in cui l’allora fidanzato della 36enne di Villanova del Judrio, freddata con tre colpi di pistola nel cortile della villa di Manzano, nella quale la coppia abitava, ha telefonato al 118, saranno trascorsi esattamente tre anni dal ritrovamento del suo corpo senza vita. Il caso, però, è tutt’altro che chiuso.

E anche le uniche due persone finora iscritte nel registro degli indagati per omicidio - lo stesso Paolo (difeso dagli avvocati Carlo Appiotti e Cristina Salon) e suo figlio Giacomo (avvocato Massimo Cescutti), all’epoca minorenne, entrambi finiti nei guai per essere stati i primi ad arrivare sulla scena del delitto -, nonostante la decisione dei pm titolari delle due inchieste aperte dalla Procura di Udine (Matteo Tripani) e da quella dei minori di Trieste (Chiara De Grassi), di procedere all’archiviazione delle rispettive posizioni, restano sospese nel limbo delle udienze, attualmente in corso davanti ai Gip dei tribunali friulano e giuliano, per discutere la doppia opposizione presentata dal legale della famiglia Tulissi, avvocato Laura Luzzatto Guerrini.

Contestualmente alla richiesta di archiviazione, i due magistrati hanno aperto un nuovo procedimento, questa volta contro ignoti, riallacciandosi in particolare al bandolo relativo agli accertamenti balistici. Posto che l’arma adoperata per uccidere Tatiana non è mai stata trovata e che delle quattro ogive esplose, soltanto tre sono state rinvenute, e alla luce delle consulenze tecniche che avevano permesso d’individuare in un revolver calibro 38 special “Astra” il modello e la marca dell’arma adoperata dal killer, i carabinieri del Nucleo investigativo avevano proceduto al sequestro di più di 150 pistole compatibili detenute nelle province di Udine, Trieste e Gorizia, per consegnarle poi ai colleghi del Ris. La prima scrematura aveva ridotto a circa 25 il numero di quelle ritenute sospette. L’ispezione nei laboratori di Parma procede ora per gruppi: 8 quelle al setaccio in queste settimane.

L’obiettivo, ora, è passare da un giudizio di compatibilità a quello di identità. La svolta, insomma, potrebbe arrivare soltanto nel caso in cui i segni presenti sulle ogive sparate risultassero identici a uno dei revolver. Nessuno dei proprietari risulta indagato. E nessuna delle armi sequestrate apparteneva a Calligaris: tutte quelle da lui regolarmente detenute erano risultate non compatibili.

Più controverse erano apparse le modalità con le quali era stata condotta la cosiddetta prova dello stub, cioè la ricerca di residui di colpi d’arma da fuoco sul corpo e sui vestiti di padre e figlio. Prova che aveva dato esito positivo in misura così esigua, da potersi ritenere riconducibile al contatto avuto con la vittima durante le operazioni di soccorso. Eppure, il pm aveva enucleato almeno tre fattori in grado di invalidare il risultato dell’esame. Innanzitutto, il lasso temporale trascorso tra l’omicidio - avvenuto tra le 17.45 e le 18.33 - e il prelievo - effettuato alle 3 della mattina successiva: più di 4 ore oltre il limite massimo di permanenza dei residui su pelle e tessuti.

Poi, la possibilità lasciata a Paolo Calligaris di lavarsi le mani per ben due volte (la prima con un disinfettante offertogli da un’infermiera, la seconda al comando dei Cc di Palmanova), prima dello stub. Infine, il mancato accertamento sull’eventuale cambio di abiti, dopo essere uscito dal lavoro, ad Aquileia, per tornare a casa. Ma a giocare, nell’inchiesta, sono i dati certi. Ed elementi in grado di incriminare l’allora convivente di Tatiana, in oltre due anni e mezzo d’indagine, non ne sono emersi. «La pista familiare, invece - conclude il comandante del Roni, Fabio Pasquariello -, resta una di quelle alle quali stiamo ancora lavorando».

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