Omicidio Tulissi, ecco perchè Calligaris è stato assolto
UDINE. In aula, alla lettura del dispositivo, lui non c’era. Ha preferito aspettare fuori, incrollabile nella volontà di vedere riconosciuta la propria innocenza, ma terrorizzato all’idea di sentirsela negare una seconda volta.
La Corte d’assise d’appello di Trieste, invece, gli ha creduto e, capovolgendo le conclusioni del gup che in primo grado lo aveva condannato a 16 anni di reclusione, lo ha assolto con formula piena «per non aver commesso il fatto».
A uccidere Tatiana Tulissi non fu Paolo Calligaris, l’imprenditore oggi 51enne di Cividale con cui la 36enne conviveva, nella villa di Manzano in cui, attorno alle 18.30 dell’11 novembre del 2008, fu freddata con tre colpi di pistola.
Sono servite quasi otto ore di camera di consiglio alla corte presieduta dal giudice Mimma Grisafi, con a latere la collega togata Gloria Carlesso e i sei giudici popolari, per decidere il destino dell’imputato e, con esso, anche le sorti di un delitto che, a questo punto, retrocede al rango di cold case.
Sempre che la Corte di Cassazione, cui il pm Marco Panzeri con ogni probabilità presenterà ricorso, non riapra i giochi. Intanto, al termine di un secondo round processuale non meno estenuante del primo, a tirare il fiato e compiacersi del risultato è la difesa, rappresentata dagli avvocati Rino Battocletti, Alessandro Gamberini e Cristina Salon.
OMICIDIO TULISSI, PER APPROFONDIRE
«Un esito naturale, per un processo che non sarebbe mai dovuto cominciare», hanno affermato i legali, all’uscita dal tribunale, ricongiungendosi con Calligaris, che per tutta la mattinata, durante le repliche, era stato affiancato dalla moglie, oltre che dai figli e dalla sorella. Sempre uniti e, anzi, ancor di più dopo che l’11 novembre dell’anno scorso - anniversario dell’omicidio - si era gravemente ferito mentre, lavorando in un’area boschiva di Premariacco, era stato travolto dal tronco di un’acacia.
L’infortunio gli era costato tre mesi di ricovero in ospedale e aveva comportato il rinvio delle udienze che la corte aveva già calendarizzato e a cui l’imputato aveva ricominciato a essere presente non appena accertata la sua completa capacità a parteciparvi.
«È un processo costruito sulla sabbia, pieno di contraddizioni e dove la prova regina è a nostro favore», avevano dichiarato i difensori, al termine delle rispettive arringhe. Un processo indiziario di cui, anche ieri mattina, i legali hanno evidenziato «l’incompatibilità cronologica della ricostruzione dei fatti proposta dalla pubblica accusa». Per non dire della mancata esplorazione di «ipotesi alternative», a cominciare dalla possibile rapina finita in tragedia, con fuga del killer e volatilizzazione dell’arma.
Muti, ma intimamente distrutti dal dolore, i parenti della vittima: la mamma Meri Conchione e i fratelli Marzia e Marco, presenti in aula dall’inizio alla fine dell’udienza, accanto all’avvocato Laura Luzzatto Guerrini, con cui si sono costituiti parte civile e che «preso atto del verdetto», ha detto, attende di leggere la motivazione per prepararsi all’appuntamento in Cassazione.
Nel condividere il teorema accusatorio del pm, il gup Andrea Odoardo Comez aveva ritenuto di inviduare il movente nel bisogno dell’uomo di liberarsi della compagna, considerando ormai esaurita la loro relazione. Argomento, questo e gli altri proposti dagli investigatori, che in appello non sono bastati a riconoscere in lui l’uomo che quella sera, sull’uscio di casa, premette il grilletto contro Tatiana.
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