Omicidio Tulissi, ecco perché il pm ha chiesto 16 anni per Calligaris: «Ha mentito su tutto, voleva liberarsi di Tatiana»

UDINE. «Ha mentito su tutta la linea, raccontandoci una storia infarcita di molteplici menzogne e che fa acqua da ogni parte la si guardi». Il pm Marco Panzeri le ha elencate una per una, nelle sue otto ore di requisitoria, le bugie con cui l’imprenditore Paolo Calligaris, 49 anni, di Cividale, avrebbe cercato di allontanare da sè l’ombra dell’omicidio di Tatiana Tulissi. Era la sua compagna, aveva 36 anni e la sera dell’11 novembre 2008 fu freddata con tre colpi di pistola sull’uscio della villa di via Orsaria, a Manzano, dove abitavano. Da quel giorno, i sospetti caddero su di lui, il primo ad arrivare sulla scena del delitto e a chiamare i soccorsi.
A conclusione di una nuova e ancora più imponente tornata d’indagini, dopo l’archiviazione disposta nel 2012 per carenza di elementi a suo carico, l’imputazione si è tradotta in una richiesta di condanna: 16 anni di reclusione. Esattamente quanti la matematica processuale impone, nel caso di celebrazione con rito abbreviato e in assenza di aggravanti.
L’udienza è cominciata alle 10.30, davanti al gup del tribunale di Udine, Andrea Odoardo Comez, ed è terminata alle 19.30. Sempre a porte rigorosamente chiuse e intervallata da un’oretta complessiva di pause. In aula, soltanto le parti interessate al processo: oltre al pm titolare dell’inchiesta, accompagnato dal maggiore Fabio Pasquariello, dell’ufficio investigativo dedicato al caso, i familiari di Tatiana, e cioè la madre Meri Conchione e i fratelli Marzia e Marco, affiancati dall’avvocato Laura Luzzatto Guerrini, e i difensori dell’imputato, gli avvocati Rino Battocletti, Alessandro Gamberini e Cristina Salon.
L’udienza riprenderà martedì prossimo, con la discussione del legale di parte civile, mentre per il 9 e il 16 luglio sono attese le arringhe dei difensori (quando Calligaris, finora assente, potrebbe presentarsi). Poi, arriverà la sentenza. Per inquadrare i fatti dal punto di vista giuridico e, poi, ricostruirli passo passo così come emerso dall’incrocio delle perizie e della montagna di accertamenti e testimonianze raccolti negli ultimi tre anni d’indagini, il pm si è servito di un maxi schermo e di supporti audio.
Ampio spazio è stato riservato alle dichiarazioni rese, in più momenti, dalla teste chiave, una vicina di casa convinta di avere sentito degli spari verso le 18.30. Un orario in cui, secondo gli investigatori, Calligaris era già in villa. Non meno significative, sempre in tesi accusatoria, le telefonate che l’imputato fece al 118, quando, arrivato direttamente dalla sua azienda, la Ca’ Tullio di Aquileia, disse di avere trovato la compagna, a sua volta rientrata da poco dal lavoro - era impiegata in un’azienda di Percoto -, stesa in terra. «Qui c’è una persona che non dà segni di vita – riferì all’operatore nella prima conversazione, registrata alle 18.32 -. Le sto facendo un massaggio cardiaco».
Un tono troppo «distaccato», per non lasciare perplessi gli inquirenti. Poi, una decina di minuti dopo, la seconda telefonata. «È come se avesse un buco nella schiena, non mi risponde», disse con voce ritenuta ancora tutt’altro che consona alla tragicità del momento. In mezzo, un lasso di tempo “buio” nel quale l’imputato avrebbe potuto ricostruire a proprio piacimento la scena del crimine, nascondere la pistola - un revolver calibro 38, mai trovato - e lavarsi le mani, cancellando eventuali residui di colpi d’arma da fuoco (in vista della prova dello stub, rivelatasi in effetti neutra). Tutte «questioni smontabili e che hanno spiegazioni diverse», hanno commentato i difensori, escludendo possano reggere alla regola giurisprudenziale della «certezza oltre ogni ragionevole dubbio».
Omicidio di prossimità: è questo l’alveo nel quale la Procura ritiene vada collocato il delitto di Tatiana. Un esempio classico, così come quello che ha visto infliggere 16 anni ad Alberto Stasi, per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi nella sua casa di Garlasco.
Calligaris voleva liberarsi di lei e l’ha eliminata, perché, sul piano affettivo, non gli “serviva” più. Riteneva il loro rapporto esaurito e, rincasando, trovò che quella fosse l’unica soluzione possibile. Un impeto di violenza, il suo, determinato non da una rabbia momentanea, bensì da un’insofferenza profonda, maturata negli ultimi tempi. E cioè, in particolare, dal momento in cui i due figli (all’epoca minorenni) avuti dalla moglie da cui si era separato avevano manifestato avversione alla notizia dell’arrivo di un fratellino. Un bimbo che Tatiana portava nel proprio grembo e che perse per cause naturali.
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