Omicidio Tulissi, perché Calligaris è stato condannato: bugie, telefonate e prove distrutte

Depositate le motivazioni della sentenza con cui l’imprenditore è stato giudicato colpevole per l’omicidio di Tatiana Tulissi

Una lite iniziata al telefono, qualche ora prima. Degenerata nel tardo pomeriggio a causa di un motivo probabilmente futile, eppure servito a Paolo Calligaris per fare uscire tutto il risentimento che provava da tempo nei confronti di Tatiana Tulissi, brutalmente uccisa nel novembre del 2008 davanti al cancello del seminterrato che della loro villa di via Orsaria, a Manzano, prima colpita violentemente al capo (forse con un oggetto contundente) e poi finita a revolverate - quattro in tutto - dall’allora convivente. Che in questi undici interminabili anni ha sempre professato la propria innocenza, alla quale non ha però creduto il giudice per l’udienza preliminare Andrea Odoardo Comez, che lo scorso 19 settembre lo ha condannato a 16 anni di reclusione al termine del rito abbreviato con il quale è stato giudicato l’imprenditore friulano. Il movente, insomma, sta tutto lì, nel rapporto ormai logoro della coppia. Le ragioni che hanno portato il Gup a condannare Calligaris al massimo della pena prevista dal rito scelto dall’imputato, sono elencate nel corposo plico (181 pagine in tutto) che contiene le motivazioni della sentenza. Ad accentuare il quadro indiziario, pure i comportamenti tenuti da Calligaris nei giorni, mesi e anni dopo la tragedia, giudicati a più riprese nel provvedimento sospetti e a più riprese addirittura ostativi allo svolgimento delle indagini.

Udine, omicidio Tulissi: le tappe della vicenda in un minuto


Il quadro

Gli elementi indiziari raccolti nel corso delle indagini - anche grazie alle perizie disposte dalla Procura a partire dal 2016, quando l’inchiesta per l’omicidio della trentaseienne era stata riaperta, dopo la prima archiviazione del 2011) hanno permesso di ricostruire secondo il Gup un quadro grave e univoco, che va nella direzione della responsabilità di Calligaris per la morte di Tatiana. Nelle motivazioni, il giudice riferisce chiaramente di gravi ragioni di conflitto tra i due conviventi, che si erano acuite nel tempo. Anche per quel desiderio di maternità che la Tulissi coltivava e che Calligaris non appariva intenzionato ad assecondare: Tatiana resta incinta nella primavera del 2008, ma a inizio giugno abortisce. È un episodio che, secondo il Gup, incrina in maniera definitiva il rapporto tra i due: per il giudice, Paolo non voleva un terzo figlio (due ne aveva avuti dal precedente matrimonio), il cui arrivo avrebbe ristretto le ore di libertà da impiegare per le corse con i quad e le immersioni subacquee. Quel che emerge dalla ricostruzione investigativa è che il rapporto tra i due fosse già ai minimi termini e che la stessa Tulissi avesse confidato alle amiche nei giorni precedenti l’omicidio di non avere più da tempo rapporti intimi con il compagno. Probabilmente, come ricostruito nelle motivazioni della sentenza, anche perché Calligaris già nutriva interesse per un’altra donna.

Telefonate e spari

Già, il telefono. Ci sono due chiamate (anzi, tre) che costituiscono i cardini dell’impianto accusatorio. Le prime sono quelle di Calligaris al 118: l’imprenditore compone il numero per chiedere soccorso una prima volta alle 18.32 e 57 secondi e poi, di nuovo, alle 18.42 e 27 secondi. L’ambulanza arriva tra le 18.50 e le 18.52. Un lasso di tempo, questo, secondo il giudice sufficiente a Calligaris per occultare l’arma e spostare il corpo della povera Tatiana. Per i consulenti della pubblica accusa, peraltro, la posizione in cui è stato rinvenuto il cadavere fa pensare al riposizionamento dello stesso da parte di un altro soggetto. Per il Gup, la prima chiamata al 118 in particolare costituisce il primo di una serie di atti di depistaggio, con la telefonata servita sostanzialmente per poter dire al figlio Giacomo (che avrebbe raggiunto a bordo del suo buggy villa Rita di lì a poco: indagato, la sua posizione fu archiviata nel 2012) di aver già trovato Tatiana ferita. L’altra telefonata fondamentale è quella che il nipotino della vicina di casa dei Calligaris, Regina Genuzio, indirizza al papà per farsi venire a prendere a casa della nonna. I tabulati confermano che è partita alle 18.29 e 8 secondi. Il padre del piccolo arriva pochi istanti dopo e due minuti dopo è già sul vialetto, con l’auto che punta in direzione della strada. E neppure un minuto dopo, mentre Regina sta preparando l’insalata, sente quattro spari: non potevano essere i petardi e i fuochi d’artificio per la festa di San Martino (sparati dopo le 20) e le prove balistiche effettuate con l’ausilio di carabinieri e Arpa hanno confermato che potevano essere compatibili con gli spari che hanno ucciso Tatiana.

La chiamata

Paolo e la compagna si sentono più volte nelle ore precedenti all’omicidio. Alle 12.50, in particolare, i due conviventi parlano a lungo, per cinque minuti e 7 secondi. Per il Gup potrebbe essere quella telefonata a rappresentare la miccia che ha fatto esplodere la furia di Calligaris.

Verso casa

Calligaris parte dall’azienda Ca’ Tullio di Aquileia, dove lavora, tra le 17.45 e le 17.50. Una testimone racconta di aver incrociato il Land Rover dell’imprenditore all’incrocio di San Giovanni al Natisone lungo la Palmarina alle 18.15. E secondo i periti Paolo varca il cancello della villa di via Orsaria tra le 18.20 e le 18.29, ben prima cioé del momento in cui vengono uditi i colpi.

L’omicidio

Tatiana viene colpita a morte, dunque, tra le 18.29 e 8 secondi e le 18.32 e 57 secondi. Le tracce di sangue ritrovate sul copertone della ruota posteriore sinistra della jeep di Calligaris non sono state considerate dal giudice, all’esito delle perizie, compatibili in maniera univoca con un calpestio avvenuto in un momento diverso da quello dello sparo. L’arma del delitto non è stata mai ritrovata: indagini e perizie citate nelle motivazioni permettono di affermare che dovrebbe trattarsi con ogni probabilità di una Astra Cadix, una colt calibro 38 spagnola con un serbatoio di sei proiettili. Che Calligaris deteneva senza averla mai denunciata. —


 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto