Ovazione per Cappello e Battiston: l’abbraccio della poesia alla vita

Straordinario reading al Verdi con il romanzo autobiografico del vincitore del premio Viareggio. L’attore udinese entusiasma e commuove evocando la giovinezza di Pierluigi, lieve, umile, libera
FOTO MISSINATO - PNLEGGE VERDI PIERLUIGI CAPPELLO
FOTO MISSINATO - PNLEGGE VERDI PIERLUIGI CAPPELLO

L’uomo che vive con le porte aperte. Ampiezza di sguardi, pare limpida metafora. Nutrendosi di letteratura, quell’uomo offrirà se stesso in un confronto coll’altrove. Sotto il titolo Questa libertà, in copertina, un bimbo ha conquistato un albero e se ne sta seduto sopra. Immaginiamo si senta un re, da lassú. Contempla.

Come il Pierluigi dell’infanzia. Viveva sul colle, montagne opprimenti dietro, natura a strampiombo sottostante. Esistenze in movimento da spiare, un treno che raggiungeva l’ignoto, una facile via di fuga per togliersi di dosso lo stantío della solita Chiusaforte, le cose da fare e da attraversare.

Ci voleva il romanzo per averlo a Pordenonelegge, un’escursione in profondità senza protagonismi, pur sguinzagliando un bel po’ di sé. Cappello è un poeta, mai avrebbe tradito l’indole forte e narra scavando anime, dell’universo conosciuto, sale e scende dai ricordi, ti trascina nella casa della formazione, abbraccia a suo modo il sisma che travolse un popolo, risale faticosamente all’incidente, con lucida consapevolezza.

Sul palco del Verdi “vuole” accanto Giuseppe Battiston; lo vide nel Macbeth e fu innamoramento scenico. Un reading, alla fine, confuso da parole sciolte. Annotazioni a pie’ di pagina. È interprete magnetico, Giuseppe. Le due energie si fondono, sala silenziosa, spariscono persino le fastidiose grattate di gola, la piú classica colonna sonora della platea. Il ragazzo dell’Alto Friuli non si è scordato di mettere in salvo le gestualità di genti scolpite nelle tradizioni, un tramandare infinito di abitudini, movimenti, mestieri.

«L’amico Silvio, quello che faceva le gerle - racconta Cappello - era un omino gramo con leggerezza d’espressione, non assomigliava ad altri vecchi del paese imbruttiti dal rancore. Noi bimbetti gli ronzavamo attorno, avevamo una irrequietezza incontenibile».

I primi Settanta. Sui monti, però, parevano i Quaranta. La modernità non aveva scollinato, «ci costruivamo i giocattoli e c’incantavamo a veder trasformare il legno in qualcosa». Poi arrivò la lavatrice. Il babbo se la caricò sulle spalle e su. «Uno spartiacque risultò quell’oggetto strano con l’oblò».

Giuseppe lascia il divano, raggiunge il microfono e vedi tutto. La salita faticosa, il borbottare del padre, la madre che si ritrovò improvvisamente a ripensare al lavaggio. «Un elemento estraneo alla valle, pareva il monolite del film di Kubrick», scrive. «E cosí mamma smise di imbronciarsi davanti alle dure macchie di erba sui miei pantaloni, e cominciò a guardarmi con piú tolleranza». Pierluigi non aveva programmi precisi. Tipo: adesso divento romanziere. Sentiva l’urgenza di sciogliere l’esigenza della memoria. Basta. «Due ore al mattino, due ore al pomeriggio. Mi ha guidato la scrittura, andava da sola senza spinte. È riuscita a portarmi laddove voleva lei. Non ci sarei mai riuscito senza l’apprendistato della poesia». Questa libertà, Pierluigi Cappello, Rizzoli editore. 172 pagine. Un mondo che si rivela nei dettagli.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:pnlegge 2013

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto