Paluzza saluta l’allenatore dei campioni: addio a Gaetano Di Centa
È morto a 96 anni: era il papà delle medaglie olimpiche Manuela e Giorgio: «Ci ha insegnato a essere noi stessi a gareggiare con il cuore e a non mollare mai»
«E cumò?». «Cumò come prime». Adesso come prima. Glielo disse anche in Norvegia Gaetano Di Centa alla figlia Manuela, che di lì a poco avrebbe vinto cinque medaglie, in ognuna delle gare di sci di fondo in programma. Erano i Giochi olimpici invernali di Lillehammer, 1994. «E il mio papà riuscì a darmi la giusta grinta. Sii te stessa mi disse, non avere paura. Facendomi sentire al sicuro, come nella nostra pista di casa a Paluzza. Adesso è come prima». Lui, allenatore nella vita prima che nello sport.
Se ne è andato a 97 anni, all’ospedale di Tolmezzo, all’alba. All’ora in cui «di solito si alzava per accompagnarci alle gare di sci, all’ora in cui era sempre in piedi a sfornare il pane» dice Manuela. Che poi ammette: «Con il sorriso, ma è durissima». Perchè papà era la sua montagna, era la spalla a cui appoggiarsi, era l’origine della sua forza. Lui, uomo di bosco e di pane (aveva iniziato da bambino a Paluzza a fare il panettiere).
Uomo «di natura», là nella sua valle da cui volgeva lo sguardo al mondo. In cui aveva costruito tanto, in cui tanto aveva insegnato. Colonna portante della società sportiva Aldo Moro, ora presieduta dal figlio Andrea, aveva avviato al fondo e alla corsa tanti bambini e bambine del paese. «Papà lavorava di notte – racconta Manuela – e poi, dopo aver riposato un’oretta, di giorno si dedicava alla sua grande passione, fare l’allenatore di sci. Portava me e i miei fratelli Andrea e Giorgio e tutti gli altri bambini a sciare. Lui concepiva la società come un modo per aggregare. Certo, i risultati sportivi erano importanti, ma ciò che contava era lo stare insieme, il fare comunità sempre convinto che lo sport potesse contribuire a una crescita morale e civica della persone, che attraverso lo sport si potesse educare le giovani generazioni».
C’è tanto degli insegnamenti di Gaetano nelle medaglie di Manuela e Giorgio. C’erano la sua tenacia, il suo tener duro, lo sprone a non mollare mai, a gareggiare con il cuore, la sua semplicità con cui riusciva a unire le persone. «Ogni volta che vincevamo una gara – racconta Manuela – ci diceva “lait in denant”, andate avanti. Perchè il bello era sempre migliorarsi, fare un passo in avanti. Se si ama quello che si fa è un piacere continuare, allenarsi con sacrificio, scoprire la bellezza di fare fatica».
E poi c’erano l’amore per la famiglia e per la sua Paluzza. «Terra semplice ma profonda, dove noi siamo nati e cresciuti e che papà rappresentava al meglio – prosegue la campionessa –. Una terra ancorata ai sentieri, alle radici profonde, ai valori più veri». Si approcciava alla vita e allo sport in modo semplice, vero e genuino Gaetano che nasceva dalla gioia di poter fare ciò che amava di più, tra le sue montagne. Se lo ricorda in pista il suo papà, icona del vero orgoglio carnico, Manuela. Le diceva: «Devi essere te stessa, tira fuori tutto quello che hai».
Se lo ricorda Giorgio, a Torino, quando vinse le due medaglie d’oro alle Olimpiadi invernali del 2006 nella 50 km e nella staffetta. «Mi disse: “È ora che portassi a casa un bel risultato – ricorda l’ex fondista sorridendo –. Era il suo modo di dimostrarmi con semplicità che era orgoglioso di me. Papà ci ha insegnato a impegnarci, a fare sacrifici, a non mollare mai, tenendoci sempre sulla retta via. Era il nostro primo tifoso». Guardare avanti, sempre. Senza avere paura. Paluzza gli dirà addio martedì, 4 febbraio, alle 14.30, nella chiesa dove 64 anni sposò Maria Luisa e dove battezzò Andrea, Manuela e Giorgio. «Il regalo più bello che mi ha fatto la vita sono i miei genitori. Ho avuto un papà fantastico che mi ha lasciato libera di essere me stessa» aggiunge Manuela. Lui, capace di insegnare a sciare con il cuore. Quello che ha sempre fatto la differenza in pista.
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