Pandur: il mio Michelangelo punk che vuole risvegliare le coscienze
UDINE. Estate 2004, prima edizione del Mittelfest targata Moni Ovadia, tema: il tempo, la sua pericolosa implosione globalizzante e globalizzata in un presente senza futuro né passato. La riflessione spettacolare piú puntuale, provocatoria e visonaria venne con 100 minuti, graffiante rilettura in chiave di una contemporaneità consumistica e di plastica de I fratelli Karamazov di Dostoevski.
La firmava Tomaz Pandur che due anni dopo, sempre a Mittelfest gestione Ovadia investiva il pubblico - stupito e osannante - della sua poetica pop e decadente con Tesla, Electric Company, raffinata e glamour rivisitazione di una figura mitica dell’immaginario croato: lo scienziato Nicola Tesla, inventore geniale che visse defilato a New York dove morí misteriosamente nel 1943.
Terza conferma, che Pandur è oggi uno dei protagonisti della scena europea, 2008, sempre a Mittelfest con Caligula da Camus, emblema di precarietà esistenziale e valoriale, tutto giocato su un’energia giovanilistica impressionante e disperante insieme.
Questo per dire che Il Michelangelo, che ieri sera ha aperto Mittelfest 2013, di cui è senza ombra di dubbio l’evento piú qualificante, è ulteriore conferma che quella tra Pandur, ingiustamente snobbato in Italia per il solito provincialismo miope dei teatranti e dei critici di casa nostra, è storia consolidata e fruttuosa.
Anche per questo suo Michelangelo, ispirato all’opera omomima di Miroslav Krleza, uno dei più grandi scrittori croati del ‘900, Pandur è andato dritto al cuore di alcune questioni fondamentali, oggi, per chi fa teatro.
«Michelangeo – ci ha detto il regista, poco prima della prova generale di giovedí – rappresenta nella sua essenza l’artista: l’artista contro il mondo o il mondo contro l’artista. È questo il punto nel quale possiamo oggi identificarci con Michelangelo. Anche oggi viviamo in un mondo che è assolutamente ignorante, in cui la cultura è messa ai margini della società. Il tema, quindi, è molto nostro. Non si tratta solo di parlare di un genio, bensí di un’anima umana alla ricerca della bellezza, della verità, dei valori in un contesto che tutte queste cose rigetta e contrasta».
E lo vediamo, Michelangelo alle prese con il suo essere artista e uomo controcorrente dalle passioni forti e scandalose. Solo, al centro di una piscina d’acqua, chiusa sul fondo da due enormi ponteggi, svelati dopo un folgorante inizio, il disgregarsi del grande affesco della Sistina in immagini che ne tradiscono il tumulto interiore, Michelangelo (l’intenso Livio Badurina), artista d’oggi fa del suo corpo il tramite della sua arte e della sua disperazione.
Si denuda, si colora, rivive a frammenti sogni e desideri, fatiche e paure, che prendono vita sui ponteggi in una sarabanda di visioni, inquietanti, inquiete, oltraggiose, emozionanti. «Vivo all’inferno e ne ritraggo le immagini», dice a un certo punto questo Michelangelo del duemila nel creare il suo affresco intimo, affettivo, erotico e intellettuale, contro la volgarizzazione, la carnevalizzazione del mondo in atto.
«Un’immagine del presente – continua Pandur – che lo stesso Krleza aveva preconizzato in un suo altro scritto, Sull’orlo della ragione». È un poema, di visioni emozioni e suggestioni, «piú perfomance che teatro classico», ancora Pandur. «Questo perché il nostro Michelangelo, è neo punk, un ribelle, un combattente di strada contro il sistema».
Per dire di un teatro che si cerca, che non si ferma: «Dovessi definire il mio teatro – confessa Pandur – avrei smesso di farlo, il teatro. Che per me deve essere sempre sorpresa, provocazione, ricerca del nuovo, di qualcosa che non ho mai fatto prima. Il teatro dovrebbe esprimere le temperie e i bisogni del tempo, ecco perché il teatro cambia e con lui il suo senso. Oggi il teatro deve svegliare le coscienze, porre nuove questioni, arginare i danni della globalizzazione e dell’uniformità».
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