Parmalat in Latterie investiti tre milioni

«Lanceremo noi il Montasio all’estero, siamo pronti alla sfida»

UDINE. Il Montasio all’estero? «Lo portiamo noi».

Da operazione “salvataggio” ad acquisizione strategica quella di Latterie Friulane per Parmalat, la Spa di proprietà della francese Lactalis, che all’inizio di quest’anno ha perfezionato l’operazione che ha condotto la cooperativa di Campoformido all’interno di un Gruppo che è tra i leader mondiali nella produzione e distribuzione di alimenti, con latte e derivati in prima linea.

«L’acquisto di Latterie Friulane - spiega Luigi Del Monaco, direttore generale di Parmalat in Italia - si inserisce nella strategia di crescita nei brand locali che vede Parmalat controllare la Centrale del latte di Roma, Berna a Napoli, Latte Brianza, solo per citarne alcuni. È una strategia di localismo rispetto alla quale abbiamo perfezionato acquisizioni laddove ci sono le condizioni e realtà interessanti». Per il colosso del latte, quello delle Friulane è stato un «matrimonio interessante sia per noi che per la società che è stata ceduta che per l’occupazione. Nel caso specifico di Latterie, siamo intervenuti su richiesta di una società che in quel momento si trovava in una situazione di grave dissesto finanziario e che era reduce da uno scandalo inerente la qualità di una produzione». Di fatto la coop era a un passo dalla chiusura, fallito l’approdo in un altro grande Gruppo. Grazie a Parmalat «abbiamo ripreso l’attività e investito nuovamente sulle linee di produzione, abbiamo rivisto tutto il sistema qualità adeguandolo ai criteri Parmalat, che sono più stringenti e severo di quanto previsto dalle norme, e abbiamo anche investito nella riattivazione delle linee di latte fresco, yogurt e mozzarella».

E il Montasio? «Il Montasio - risponde Del Monaco - è il fiore all’occhiello della produzione di Latterie Friulane, un prodotto Dop che intendiamo continuare a sviluppare e anche a promuovere al di fuori del Friuli. Di questo - prosegue il direttore generale - abbiamo discusso anche con la politica ricordando il valore aggiunto che può dare Parmalat al territorio e a questo prodotto del territorio, facendolo conoscere nel resto d’Italia e all’estero». I primi mercati interessanti per il Montasio made in Friuli «sono in Sud America, dove ci sono comunità friulane molto radicate, che cercano i prodotti di questo territorio. È evidente - spiega Del Monaco - dalla presenza di numerosi “falsi friulani” in questi Paesi. Non vengono venduti come “formaggi friulani”, ma il sounding del loro nome richiama il Friuli».

Montasio made in Friuli. E il latte? «Rigorosamente friulano. Come dicevo, per noi la qualità è un valore dal quale non si prescinde e siamo ligi nel rispetto della legge, quindi quando etichettiamo i nostri prodotti secondo l’origine, è certo che è così». Ma Lactalis importa latte. «Certo perché in molti dei nostri stabilimenti produciamo anche per conto terzi e prodotti industriali, e il latte italiano non è sufficiente a coprire il fabbisogno nè per il primo prodotto, il latte, nè ovviamente per i derivati. Ma il latte di Latterie è friulano e il Montasio viene prodotto con latte friulano, senza possibilità di errore. Anche perché - dettaglia il dg - il latte fresco, che è per definizione un prodotto locale, delicato con soli sei giorni di vita, deve essere conferito in stabilimenti in un raggio di 200/300 chilometri dalla zona di raccolta. Non avrebbe senso raccoglierlo a Roma per trasferirlo in Friuli». Quantificando gli investimenti in Latterie? «Abbiamo stanziato 2 milioni di euro per il primo anno a cui si somma un altro milione per il prossimo, sul piano industriale, e altri investimenti hanno riguardato il lancio del prodotto. Abbiamo anche riportato in Italia produzioni che il Gruppo aveva esternalizzato fuori dal Paese, e affidato a un testimonial molto amato in Friuli la campagna pubblicitaria per il rilancio del brand locale».

Sulla conquista dell’estero? «I prodotti più internazionali che esistono sono i formaggi italiani. È un vantaggio competitivo che possediamo e che non sappiamo sfruttare al meglio perché all’Italia manca la capacità di fare sistema, di organizzarsi e collaborare per sfondare sui mercati esteri».

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