Pennac: leggere è libertà come amare o sognare

Incontro con il padre del popolarissimo Malaussène che ora diventa un film. «È soltanto con l’esempio che possiamo trasmettere la passione per i libri»

Lo strampalato universo di Benjamin Malaussène, personaggio che tutti abbiamo amato, nato dalla penna di Daniel Pennac, diventa un film. Il paradiso degli orchi, primo libro della fortunata saga costruita attorno al buffo «tipo un po' infantile che gioca a fare l'ingenuo perché sa molto bene che, se non cercasse di farlo, sarebbe un disperato», sarà nelle sale dal 17 ottobre, interpretato, fra gli altri, dalla bella Bérénice Béjo (The artist) e da Emir Kusturica. Al papà di Malaussène – ospite fra i più attesi, ieri, a Pordenonelegge – è piaciuto molto. «Ha la stessa energia e lo stesso ritmo della mia scrittura, anche se io e il regista (Nicolas Bary, appena trentenne) apparteniamo a due generazioni diverse».

Pennac arriva al festival per la prima volta e dichiara di «non saperne niente, come per la maggior parte dei festival che mi ospitano. Ma ogni volta scopro una città, la sua gente, il piatto tradizionale. Mi hanno detto che qui c’è il frico...». Confessa di essere un sedentario, Pennac, che non a caso vive nello stesso quartiere parigino, Belville – come i Malaussène – dal 1969 e la cui paradossale caratteristica «è quella di cambiare sempre pur restando sempre uguale», perché, essendo il quartiere di tutte le migrazioni, la popolazione muta costantemente.

La conversazione con il paladino della lettura intesa «non come un dovere, ma come un atto di libertà, alla pari di amare o sognare», approda presto ai temi che lo hanno reso così celebre e amato. È noto che nella sua riflessione sono centrali il mondo della scuola e dell’educazione, tanto da aver reso l’autore francese un punto di riferimento internazionalmente in materia (pensiamo agli illuminanti Come un romanzo del 1992 o a Diario di scuola del 2007).

Eppure, gli chiediamo, c’è ancora chi sostiene che non ha tempo per leggere. «Chi lo dice è un idiota. Si può affermare che non si ha voglia o interesse alla lettura, ma non che non si ha tempo. Ha mai sentito dire, lei, da qualcuno, che non ha tempo per fare l’amore? Io no!». Ma allora come fare, Monsieur Pennac? Come riuscire a trasmettere passione per la lettura, come far capire che un romanzo, «ci offre la possibilità di trovarci per qualche ora in un altro mondo»? Tocca a chi ama i libri fare «da passeur, «condividere l’entusiasmo». A questo proposito Pennac racconta di aver amato moltissimo Acciaio, il best-seller di Silvia Avallone (e proprio ieri pomeriggio si sono incontrati davanti a un caffè). «La potenza della sua scrittura e della sua maturità letteraria mi ha colpito moltissimo. Letto il libro, l’ho consigliato a mia figlia, agli amici, almeno a cinquanta persone. È solo attraverso l’esempio che si può trasmettere passione. Ci sono genitori che non leggono, ma pretendono che i figli lo facciano: non è ammissibile. Penso che il problema sia la tendenza a considerare la lettura un valore culturale, ma in realtà è un modo per esprimere la nostra presenza nel mondo». Inevitabile, a questo punto, chiedergli un parere sullo “stato di salute” della scuola (Pennac ha insegnato per quasi trent’anni in un liceo, mentre parallelamente portava avanti la carriera di scrittore), a suo avviso afflitta dall’incapacità di reagire con prontezza alla (peraltro costante) evoluzione della società.

Ma lo scrittore francese è a Pordenone soprattutto per presentare il suo nuovo libro, Storia di un corpo, diario della vita di un uomo raccontata dal punto di vista del corpo: dall’infanzia alla maturità, fino all’agonia, ciò che accade al protagonista è narrato sempre partendo da come il suo corpo vive e in alcuni casi sopporta gli accadimenti. Un libro profondamente intimo che Pennac racconta di aver scritto dopo un’esperienza di ospedalizzazione e confidando di avere con il suo corpo un rapporto di curiosità, perché «i nostri corpi ci fanno sorprese fino all’ultimo istante di vita».

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