«Pensavano al Friuli come a un bancomat, ma si sbagliavano: li abbiamo arrestati»

Il ricordo dei carabinieri che sventarono una rapina in banca a Varmo Tra i banditi, l’ex componente della mafia del Brenta, Giampaolo Manca 

la storia

Luana de Francisco

«Il Friuli era il nostro bancomat. Venivamo, facevamo le nostre rapine e ce ne tornavamo a casa. Quella volta a Rivignano, però, avvenne il finimondo». Giampaolo Manca, il “Doge” ai tempi della sua vita da bandito con la mafia del Brenta di Felice Maniero, ricorda anche quell’episodio nelle quasi 400 pagine di “All’inferno e ritorno”, il libro scritto sul finire dei suoi trentasei anni di carcere. Le coordinate spazio-temporali riportare nell’autobiografia non sono esattamente quelle cristallizzate dalla storia: il colpo avvenne il 19 luglio nella filiale di Varmo della Banca popolare di Codroipo, e non «il 10 o l’11 a Rivignano». Ma la sostanza cambia poco e suscita ugualmente sconcerto, specie pensando alla recente recrudescenza di rapine in città e provincia. Anche perché quella mattina, per fermare i malviventi presentatisi al cassiere con il viso coperto e armati di tutto punto, le forze dell’ordine dovettero sparare.

Lo sa bene il maresciallo dei carabinieri Giovanni Doretto, che all’agguato che portò all’arresto di due dei tre trasfertisti veneti partecipò in prima persona. E che nel ritrovarsi Manca di nuovo di fronte, trentun anni dopo, non ha potuto non rivivere con rabbia la tensione di allora. L’occasione qualche mese fa, alla serata organizzata dall’amministrazione comunale di Valvasone Arzene per presentare il volume. Invitato a riferire al pubblico anche del colpo tentato in Friuli, Manca era stato interrotto dalla voce perentoria di Doretto. Poche e taglienti battute, quelle pronunciate dal militare dell’Arma oggi in pensione, ma sufficienti a rispolverare la memoria all’ospite e a manifestare il proprio rammarico nel vederlo libero di parlare su un palco.

«E invece è giusto che quelli come me parlino e insegnino ai ragazzi a non commettere gli stessi errori», gli aveva risposto Manca, insistendo sulla finalità benefica della pubblicazione e sulla volontà di mettere il suo «racconto del male al servizio del bene». Salvo passare poi al contrattacco e denunciare apertamente (e per iscritto, appunto) le presunte torture subite nella caserma di Rivignano. Lui come Cucchi, aveva detto.

La cronaca, quella che due mesi dopo costò a Manca e al complice Ottorino Tasinato, entrambi all’epoca latitanti, la condanna a otto anni e sei mesi di reclusione l’uno, narra una storia un po’ diversa, e senz’altro meno epica, rispetto a quella ricostruita nell’autobiografia (dove l’ex bandito non esita ad accusare i carabinieri di avere sparato contro di lui e gli amici «senza neppure qualificarsi»). «I carabinieri, che erano stati messi in allarme da taluni movimenti sospetti – scriveva il “Messaggero Veneto” –, si erano appostati nell’aula consiliare del municipio, che si trova proprio di fronte alla banca e, visti i tre uscire con il denaro e le armi, due revolver e un mitra, erano intervenuti». A guidarli c’era il maresciallo Vittorio Antonello, comandante della stazione di Rivignano. «Era sceso e si era piazzato dietro una colonna del porticato del municipio e aveva quindi sparato una raffica di mitra in aria, per intimorire i tre – riferiva il nostro quotidiano –. Due si erano gettati a terra, arrendendosi, mentre il terzo è riuscito a fuggire». Con sè aveva il bottino, calcolato in oltre 26 milioni di lire, dei quali circa 7 milioni seminati durante la fuga.

Un passato che non passa, per Antonello e Doretto. «Non c’è stata nessuna violenza, né a Rivignano e neppure dopo il trasferimento a Udine», dicono oggi. Falso anche che il Friuli fosse diventato il “bancomat” dei malviventi. «Manca può romanzare quanto vuole i suoi racconti – afferma Doretto, che ora presiede la sezione Anc di Latisana –, ma la verità è che in quel periodo carabinieri e polizia lavoravano perfettamente in simbiosi e che questo permise di mettere a punto un dispositivo anti-rapina vincente». Un’attività di contrasto resa oggi più difficile da almeno due fattori, secondo Doretto. «Una volta la violenza era riversata sulle cose e non sulle persone – dice –. Ora, invece, è tutto più efferato e non c’è più rispetto per nessuno. Neppure per le forze dell’ordine: sembra che tutti, dai vertici all’opinione pubblica, non aspettino altro che coglierle in fallo. Sono molto amareggiato e oggigiorno, lo ammetto, avrei difficoltà a lavorare». —



Riproduzione riservata © Messaggero Veneto