Pensioni a quota 100: coinvolti nella riforma della previdenza 13.500 lavoratori friulani

Sono coloro che sommano età anagrafica e contributiva: nel 2017 erano andate in quiescenza solo 10 mila persone

 

Per i conti esatti sarà necessario attendere la presentazione a metà ottobre della manovra di bilancio, dopo l'accordo raggiunto dal consiglio dei ministri. Quel che è certo, a oggi, è che sul fronte pensioni la discussa “quota cento” ci sarà, declinata come resta invece tutto da vedere.

Nell’attesa le ipotesi fioriscono e con quelle la corsa a calcolare quale sarà l’eventuale impatto della misura. Anche in Friuli Venezia Giulia. Se a livello nazionale si stima una forchetta che vada un minimo di 350 mila potenziali beneficiari a un massimo di 660 mila, a seconda che quota sia intesa in senso stretto (62 anni di età anagrafica e 38 di contributi) o accompagnata dalla possibilità di uscita con 41,5 anni di contributi a prescindere dall’età.


A partire da questa stima, frutto delle simulazioni effettuate da Tabula, società guidata da Stefano Patriarca, si possono ipotizzare anche gli effetti sulla regione dove la novità promette un bottino di nuovi pensionati.

La forchetta va da un minimo di 7 mila nuove pensioni liquidate nel 2019 a un massimo di 13 mila 500. Nel caso più favorevole (quello che considera anche i lavoratori precoci) la riforma aprirebbe le porte a un numero superiore di pensioni rispetto a quelle liquidate complessivamente con decorrenza 2017.
 

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I pensionamenti nel 2017

L’anno scorso sono state infatti liquidate per la prima volta 10 mila pensioni di cui 5 mila 824 di vecchiaia, 565 di invalidità e 3 mila 651 al superstite. Di queste 10 mila pensioni 3 mila 480 sono state calcolate sulla base del sistema retributivo (valgono una media di 736,54 euro al mese), 5 mila 104 con il sistema misto che già recepisce la riforma Fornero (1.616 il valore dell’assegno) infine 1.456 pensioni calcolate sulla base del solo contributivo, come si vede dall’assegno, assai più esile, di appena 312 euro in media.

Complessivamente le pensioni erogate sono state, nel 2017, 334 mila 385 per un assegno medio di 947 euro e un’età media di 76,5 anni. Pesano per due terzi le pensioni di vecchiaia, che sono 227 mila 877, 91 mila 702 sono quelle erogate a favore dei superstiti, 14 mila 806 sono infine le pensioni di invalidità.

Come cambierà quest’istantanea dipenderà da come si configurerà quota cento. Oggi, ricordiamolo, per andare in pensione di anzianità ci vogliono 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, 42 e 10 mesi per gli uomini. Dal prossimo anno ce ne vorranno 42 e 3 mesi per le donne, 43 e 3 per gli uomini.

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A livello nazionale, Tabula stima che in entrambe le ipotesi di quota cento le uscite sarebbero di gran lunga superiori ai ritiri anticipati registrati dall’Inps: 153 mila 541 nel 2017, sarebbero destinati a salire di ben il +129% nell’ipotesi più prudente.

Favoriti i "baby boomers"

A giovarsi di più della nuova finestra sarebbero i baby boomers, maschi nella maggior parte dei casi, residenti al nord, entrati molto presto nel mondo del lavoro e capaci per questo di vantare nonostante la giovane età un’importante anzianità di servizio. Il nodo da sciogliere è legato in toto alle coperture. Leggi: ai costi dell’introduzione di quota cento che, nella versione pura (vale a dire somma dell’età anagrafica e degli anni di contributi) si aggira intorno agli otto miliardi di euro. Tanti.

Ecco perché allo studio ci sono varie possibilità. Alzare l’asticella dei contributi minimi fino a 36 (con 64 anni d’età) o a 37 anni di contributi (con 63 anni d’età). Così la spesa si ridurrebbe. Come pure introducendo, altra ipotesi, il ricalcolo contributivo sui versamenti dal 1996 in avanti per chi va in quiescenza con quota cento, pena però un assegno più basso, nell’ordine del 10-15%. Per l’uscita a 62 anni il governo starebbe valutando anche una penalizzazione dall’1,5% per ogni anno di pensione anticipata. 

 

L'uscita anticipata: a chi conviene?

i chiama Mario Rossi. Ha 49 anni e risiede a Milano. E’ stato assunto a 30 anni come impiegato in un’azienda privata e vanta un reddito di 35 mila euro l’anno. Quanto costerebbe a questo lavoratore tipo l’anticipo pensionistico a 62 anni?

L’ha calcolato la società di consulenza Epheso per il Sole 24 ore elaborando diversi scenari. Se da un lato infatti la riforma della legge Fornero consentirà a molti di andare in pensione prima, è evidente che l’occasione non sarà a costo zero.
Un numero minore di anni di lavoro e contributi versati porterà infatti alla riduzione dell’assegno pensionistico.
Vediamo di quanto.

Nel caso del signor Rossi la pensione di vecchiaia è un miraggio, maturerà i requisiti a 70 anni e 11 mesi di età (41 anni e 7 mesi di contributi) e avrà diritto a 24 mila 907 euro di pensione annua.
Nel caso si “accontenti” della pensione anticipata, andrà in quiescenza a 67 anni e 11 mesi (con 38 anni e 7 mesi di anzianità contributiva), a 65 anni e 11 mesi sempre nel caso di pensione anticipata ma con 36 anni e 7 mesi di contributi.

In queste due ultime ipotesi ballano circa 2 mila euro: nel primo caso il reddito annuo sarà di 21 mila 131 euro, nel secondo di 18 mila 824.
Epheso forza la mano per calcolare la riduzione dell’assegno nel caso in cui il lavoratore uscisse a 62 anni (l’età non è contemplata dall’attuale normativa). L’ipotesi è che la rendita si riduca per ogni anno di anticipo. Se da 70 a 67 anni il calo è del 5% e da 67 a 65 cresce al 5,5%, quota cento porterebbe a una riduzione del 6% in caso di pensionamento a 62 anni che in soldoni significa 16 mila euro l’anno, ben 9/10 mila euro in meno rispetto al pensionamento di vecchiaia.

Se il tasso di sostituzione di quest’ultimo, vale a dire la differenza percentuale tra l’ultimo stipendio percepito e il primo assegno pensionistico è pari al 92,7%, nel caso di “quota cento” a 62 anni il tasso passa al 45%.
La scelta sta in capo al singolo lavoratore, ma come in questi giorni è stato più volte sottolineato da illustri giuslavoristi, in ballo non ci sono solo le pensioni di oggi. Ci sono soprattutto quelle di domani.
Dei giovani che attualmente lavorano e versano contributi all’Inps per pagare laute pensioni a quanti sono già andati in quiescenza, nella gran parte dei casi con il sistema retributivo, e dal canto loro alla pensione arriveranno molto più tardi.

Una necessità, questa, dettata dall’innalzamento dell’età anagrafica e contestualmente dalle nascite in costante contrazione.
Di questo scenario il Governo dovrà (dovrebbe?) tenere conto.
Perché la manovra in ipotesi tutela i lavoratori di oggi, ma pensa davvero anche a quelli di domani?

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