Pensioni, cosa cambia nel 2018: mini aumento dell’1,1 per cento ma sale la spesa
Istat: nel 2015 sono costate 280 miliardi di euro. Quest'anno ci sarà l'allineamento dell’età tra uomini e donne mentre l'anticipo pensionistico a carico dello Stato sarà accessibile a una platea più ampia. Gli assegni più ricchi? Ai dipendenti pubblici: quasi il doppio rispetto ai privati

Per i pensionati arriva un piccolo aumento e per chi vuole smettere di lavorare diventano pienamente operativi sia l’anticipo pensionistico volontario (che dovrebbe scattare già a gennaio), sia quello “social” con i costi a carico dello Stato. Quest’ultimo, in particolare, si allarga a più categorie, ovvero anche a disoccupati e a chi assiste familiari invalidi o disabili. C’è poi un anticipo ad hoc, al massimo di 2 anni, per le mamme lavoratrici.
Sono queste, in campo previdenziale, le principali novità che scattano con il nuovo anno.
Con la rata di pagamento del 3 gennaio è tornata l’indicizzazione dei trattamenti, dopo due anni di blocco. Gli assegni saranno rivalutati in base all’inflazione del 2017 che è per ora provvisoriamente stimata su un valore pari all’1,1 per cento.
Si allarga la platea di chi può accedere all’anticipo pensionistico (Ape social) a carico dello Stato. Una prima tranche di lavoratori ha già potuto accedere a questo strumento e ha appena ricevuto questa indennità. Ma ora si ampliano i confini di utilizzo. A beneficiarne possono essere 15 categorie di lavoratori (prima erano solamente 11) che hanno svolto attività considerate gravose, ma anche per coloro che hanno 63 anni e sono disoccupati, oppure invalidi, oppure impegnati nella cura di parenti disabili.
Mamme, l’Ape social guarda ai figli
Per le mamme lavoratrici la possibilità di accedere all’anticipo pensionistico a carico dello Stato viene «pesato» in base ai figli. È previsto infatti uno “sconto” sull’età per andare in pensione pari a un anno per ogni figlio, con un tetto complessivo di due anni.
Ape volontaria in ritardo, ma arriva
Doveva partire già a maggio 2017 ma, con i ritardi accumulati, dovrebbe vedere la luce a breve (entro gennaio) l’Ape volontaria, dopo la firma delle convenzioni con banche e assicurazioni. L’Ape volontaria è la possibilità di anticipare l’andata in pensione attraverso una sorta di prestito da restituire. Il meccanismo, che vale per tutti i lavoratori, funziona così: si può andare in pensione dai 63 anni ottenendo un reddito che poi va restituito in 20 anni a valere sulla futura pensione.
Si conclude nel 2018 il percorso iniziato sei anni fa che ha portato a un allineamento dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne, che si attesta ora a 66 anni e 7 mesi per poi salire a 67 anni nel 2019. Il balzo è di un anno per le dipendenti del settore privato – che fino al 2017 potevano uscire a 65 anni e 7 mesi – mentre è di sei mesi per le lavoratrici autonome, che potevano uscire a 66 anni e 1 mese.
Cresce la spesa pensionistica, ma diminuiscono le prestazioni: nel 2015 sono state erogate 23,1 milioni di pensioni (-0,4 per cento rispetto al 2014) per una spesa pari a 280,282 miliardi di euro (+1,2 per cento) e con un importo medio annuo di 12.136 euro, 193 euro in più rispetto all’anno precedente.
Lo rileva l’Istat nell’Annuario statistico. La spesa complessiva sostenuta per erogare pensioni corrisponde al 17 per cento del Prodotto interno lordo (Pil), meno 0,1 punti percentuali circa rispetto al 2014. L’incidenza del numero delle pensioni rispetto alla popolazione, ovvero il tasso di pensionamento, mostra invece che ogni 100 abitanti sono erogate 38,1 pensioni, un valore in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al 2014.
L’indice di beneficio relativo, che mostra la quota del reddito medio per abitante che deriva dalle pensioni, è invece diminuito di circa 0,1 punti percentuali, raggiungendo un valore pari al 44,7 per cento nel 2015.
Le prestazioni pensionistiche di tipo invalidità, vecchiaia, superstiti rappresentano la quota maggiore del totale delle pensioni erogate, con 17,9 milioni di pensioni (77,8 cento), una spesa pari a 253,565 miliardi di euro (90,4 per cento) e un importo medio annuo di 14.116 euro. Le pensioni assistenziali sono circa 4,3 milioni (18,9 per cento), la spesa erogata rappresenta l’8 per cento del totale e l’importo medio è di 5.113 euro.
Le pensioni indennitarie rappresentano infine il 3,3 per cento delle pensioni, circa 768 mila trattamenti, con una spesa di 4,402 miliardi di euro (1,6 per cento) e un importo medio annuo di 5.733 euro. La spesa pensionistica per prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti è cresciuta dell’1,2 per cento rispetto all’anno precedente, a fronte di una diminuzione del numero dei trattamenti erogati (-0,7 per cento). Incrementi della spesa si registrano anche per le pensioni assistenziali (+1,1 per cento) mentre per quelle indennitarie si registra una diminuzione (-2,1 per cento).
Meno pensionati, sono 115 mila in meno
Cala il numero dei pensionati ma cresce il loro reddito medio. Secondo l’indagine Istat relativa all’anno 2016, i pensionati erano circa 16,1 milioni (in calo di 115 mila unità rispetto al 2015.
Le pensioni pubbliche sono più ricche di quelle private. E non di poco. Nel 2015 gli importi medi annui delle prestazioni erogate nel comparto pubblico risultano, infatti, quasi il doppio rispetto a quelli delle pensioni erogate nel comparto privato.
La maggior parte delle pensioni, tuttavia, viene erogata nel comparto privato, con circa 15,8 milioni di prestazioni e un importo complessivo annuo di 190,383 miliardi di euro, mentre per i 2,9 milioni di pensioni del comparto pubblico la spesa del 2015 è di 67,584 miliardi di euro. Considerando il comparto privato, quello pubblico e le assistenziali, il 47,6 per cento delle pensioni è erogato al Nord, con una spesa che rappresenta il 50,6 per cento a livello nazionale.
L’importo medio delle pensioni erogate è più alto nel Nord-ovest (13.375 euro), dove troviamo anche il tasso di pensionamento più elevato (39 per cento). A livello regionale, gli importi medi pensionistici più elevati si registrano nel Lazio (13.939 euro) e in Lombardia (13.487 euro), quelli più bassi in Calabria (10.061 euro). Per quanto riguarda il tasso di pensionamento, quello più elevato in Liguria (45,9 per cento), mentre i livelli più bassi si registrano in Campania (30,8 per cento), Bolzano (32,6 per cento), Sicilia (33,4 per cento) e Lazio (34,1 per cento).
Pensione unica fonte di reddito per tanti
Sono oltre 12 milioni le famiglie con pensionati: per il 63,3 per cento di queste i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75 per cento del reddito familiare disponibile (unica fonte di reddito per il 26,4 per cento). La stima del reddito netto medio delle famiglie con pensionati è pari a 29.230 euro, circa 1.400 euro in meno di quello delle famiglie senza pensionati (30.650 euro).
Donne piu “povere” di 6000 euro
Le donne sono il 52,7 per cento dei pensionati e ricevono in media importi annuali di circa 6 mila euro inferiori a quelli degli uomini. Le differenze di genere rimangono marcate, ma tendono a ridursi (per le pensioni di vecchiaia si è passati dal +72,6 per cento a favore degli uomini nel 2005 al +62,1 per cento nel 2016). Aumentano invece le differenze territoriali: l’importo medio delle pensioni del Nord-est supera del 18,2 per cento quello delle pensioni del Mezzogiorno.
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