Pizza superstar in viale Venezia

La protagonista è femmina: una pizza. Ancestrale, da tenere in memoria e riavere, per la passione di posare sulla lingua il gusto degli anni Sessanta. Il protagonista è un luogo, quasi immutato da quell’ormai lontano 1958: il bar-pizzeria Venezia, a Udine, di proprietà della famiglia Modotti.
Sembriamo dentro un racconto di Raymond Carver: atmosfera da provincia americana, secca, pulita, densa di oggetti nudi, come un mobile-bar o un tavolino. Eccoci invece in viale Venezia, ex strada Eugenia, angolo via Nervesa, e oggi, alle ore 18, la storia della famiglia Modotti, forse parenti della più famosa Modotti, Tina (ma sicuramente cugini dell’artista Giorgio Celiberti), riaffermano la loro storia di ininterrotto spirito di servizio: sfamare gli affamati con amore e passione, con la loro mitica pizza, “Venezia”, “Baffo”, “Zoncolan”, cucinata con il forno elettrico dal 1963. E cioè qualche anno più tardi rispetto all’apertura del loro esercizio commerciale, nato come alimentari, bar e pasticceria (e sede del Totip e Totocalcio).
Da oggi sarà Mariangela Modotti, figlia di Aldo (scomparso nel 2010), insieme alla sorella Rita, a ricevere l’onorata memoria di quella ricetta segreta della pizza al tegamino, - piccola, croccante e ricca di “un mondo interiore” -, che delizia i commensali da più di 50 anni. La parentesi, 2004-2012, fortunata per la conservazione della stirpe, è stata quella della felice gestione affidata al veneziano Andrea Balbi (Venezia in qualche modo c’entra sempre), genero di Gianfranco Modotti che, come familiare del clan, ha ricevuto la possibilità di conservare brillantemente la loro storia. «Non avremmo mai passato la ricetta a un cinese», racconta Gianfranco, ormai in pensione.
Il luogo, la pizzeria Venezia, meta di artisti, nostalgici e pensatori, con il decoro da modernariato del giardino, è davvero diventato un posto cool negli ultimi anni, all’insaputa degli stessi gestori che magari, azzardiamo, gradirebbero forse praticare qualche ritocco...
Ma chi conosce il Venezia, e lo vive, prega davvero «il laico protettore della memoria degli oggetti» che tutto rimanga immutato. Solamente così si mantiene inalterata quella storia di sacrifici, allegria e virtù che porta dentro la medaglia del Neorealismo italiano anche la nostra Udine, con le sue storie di quartiere e di solidarietà.
Due fratelli, Aldo e Gianfranco, figli di Arturo, camionista a Marghera, e Angelina, che, a distanza di un anno, a fine anni Sessanta sposano due ragazze, incontrate proprio al bar Venezia: la “piccola” Egle Perusovich, e la “grande” Lisa Mattioni. Due fratelli, che si inventano, caso esotico per un friulano, pizzaioli, quando poco più in là sulla via imperversa la trionfale Moretti, e sfamano militari, camionisti, gente comune e notabili, anche con le pizze a domicilio, portate dal “vecchio” Arturo, in bici, abito nero e borsa di paglia, ai piani alti come in caserma; due cognate come due sorelle che lavorano lì insieme e allevano figli, e vanno in gita ogni martedì, giorno di chiusura, con il loro pulmino, tra carrozzine, pannolini e i mariti da far riposare.
Elena Commessatti
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