Pomodori e fragole coltivate senza terra: viaggio tra i segreti dell’orto verticale, gioiello tecnologico in un capannone

La società tecnologica Zero apre le porte della sua sede. Produce insalate senza terra né serre: l’agronomo è virtuale

PORDENONE. All’esterno si presenta come un capannone anonimo, uguale ai tanti che affollano il Nordest, testimonianza di un passato manifatturiero messo sempre più alla prova dalle sfide del nuovo millennio. Ma oltre la soglia di Zero inizia un viaggio nel futuro: in orti verticali incontaminati crescono insalate che vivono solo di acqua, luce e tecnologia. Non sono cibo di nicchia, destinato solo ai pionieri della scienza e dell’ambiente. «Vogliamo democratizzare questi prodotti, renderli accessibili».



A guidarci alla scoperta delle nuove frontiere dell’agricoltura – anche se di terra, nella zona industriale di Vallenoncello se ne vede ben poca - è Daniele Modesto. Trevigiano, 46 anni, biologo molecolare con una spiccata propensione business. «Di sola innovazione non si vive» spiega. Ha scelto per il suo progetto un team italiano composto da agronomi, biologi, ingegneri, sviluppatori software. Una contaminazione di competenze per creare prodotti che della purezza fanno la loro bandiera. A partire dal nome, Zero Farms, con cui da pochi giorni si presentano sugli scaffali dei supermercati Eurospesa di Friuli Venezia Giulia e Veneto.



Un passo indietro per capire di cosa si occupa Zero, società di cui Modesto è amministratore delegato. Nata nel 2018, è attiva nel vertical farming, una tecnica di coltivazione senza suolo che sfrutta l’aeroponica. Le piante poggiano su placche lasciando le radici libere, in aria. Una tecnica nota da anni ma dagli alti costi. Ed è questo il punto che Modesto vuole rivoluzionare: grazie alla modularità e alla combinazione di elementi standardizzati costruiti da soci di Zero, la società può allestire un sito di produzione in tempi brevissimi, portandolo dove serve, nella misura in cui serve.

«Questa era una vecchia verniciatura industriale – spiega aprendo la porta di un capannone in via Bassani, nella zona industriale di Vallenoncello – che abbiamo trasformato in trenta giorni un sito produttivo». Un lavoro ancora in progress ma che lascia intravedere spazi densi di tecnologia: al posto di serre e trattori, grandi schermi aggiornano in tempo reale sulle condizioni delle piantine di insalata.

Per vederle, però, bisogna aprire diverse porte. All’interno del capannone sono state costruite altre strutture. Ogni guscio è dotato di un “cuore” tecnologico che gestisce la distribuzione dell’acqua e dei nutritivi necessari alla crescita, ripulendo l’acqua che non viene utilizzata e rimettendola in circolo. Verrà purificata e riutilizzata nuovamente, con un notevole risparmio economico e ambientale.



Dentro alla struttura sono posizionate scaffalature metalliche sviluppate in verticale che ospitano i vassoi con dentro le piante, controllate minuto per minuto da telecamere e sensori. I dati vengono inviati a Root, un “agronomo virtuale” in grado di decidere chi ha bisogno di acqua, chi di luce, e quando. «Conosce la ricetta – spiega Modesto – e utilizza algoritmi di machine learning». Impara, cioè, dai risultati che ottiene. E più dati vengono immessi, più apprende. Ecco perché alla sezione Ricerca e sviluppo è dedicato spazio, l’unico dove sono ammessi gli umani. All’interno del sito produttivo vero e proprio, infatti, non può entrare nessuno: così si preserva la purezza degli ortaggi.

Chi immagina laboratori di ricerca enormi, però, sbaglia: «Per elaborare la ricetta giusta è sufficiente una mini simulazione – continua Modesto – così possiamo sperimentare di più». Oltre alle insalate, in monovarietà e in mix, alle erbe aromatiche e ai microgreens già in vendita con il marchio Zero Farms, la società sta lavorando alla produzione di fragole, fragoline di bosco e pomodoro ciliegino. «Ma le possibilità – assicura Modesto – sono molte di più».

Uno scorcio di Silicon Valley a Nordest capace di attrarre talenti di ritorno. A partire dal suo amministratore delegato, tornato in Italia dopo anni all’estero. «Qui sapevo di trovare un contesto manifatturiero e una qualità di pensiero unici e fondamentali per la contaminazione di competenze necessaria a questo progetto». Daniele Modesto ci lavora dal 2015 e lungo il suo percorso ha convinto soci (che producono i componenti necessari alla creazione dei sistemi modulari), finanziatori come Crédit Agricole FriulAdria, e soprattutto giovani in grado di portare competenza e freschezza al progetto.

Le videointerviste/I talenti di Zero Farms: così cambiamo l'agricoltura


Francesco Pavan ha 27 anni ed è laureato in Ingegneria dei materiali e delle nanotecnologie. «Dopo un’esperienza all’estero alla Scuola politecnica federale di Losanna e un’esperienza lavorativa in ambito aerospaziale – spiega – ho deciso di unirmi a questo progetto ambizioso. Ora mi occupo di ricerca e sviluppo di nuovi materiali e sistemi di irrigazione per minimizzare il consumo di acqua».
Competenze, che unite a quelle di agronomi, biologi e programmatori software, consentono lo sviluppo di tecnologie proprietarie: Zero conta sette brevetti.

«Sono approdata in Zero dopo un master in Olanda – spiega Anita Bonotto, 26 anni – per approfondire i miei interessi sui temi di sostenibilità ambientale. Credo in un’agricoltura del futuro, nel risparmio di risorse e nel riutilizzo di spazi urbani. Qui ho trovato una realtà innovativa che rivoluzionerà il volto di questo settore».
Nonostante solide radici a Nordest, il progetto è pronto ad aprirsi al mondo. Presto una city farm partirà alla volta di Roma: racchiusa nello spazio di un container, può produrre 5-10 tonnellate di ortaggi all’anno ed è quindi adatta realtà come ristoranti e centri storici. Un altro impianto, più grande e in grado di arrivare a 30 tonnellate l’anno, è invece destinato ai Caraibi dove potrà produrre con gli standard di Zero grazie all’isolamento termico.
A sorvegliare che tutto funzioni a dovere ci penserà Root, l’agronomo virtuale, dalla sede di Pordenone. «Non è una questione di dimensioni – spiega Modesto – ma di portare il prodotto dove serve». —



 

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