Pordenone, a 83 anni va in pensione Tomaso Boer: il vescovo laico che ha salvato l'archivio della Dc

PORDENONE. Se la ministro Fornero fosse ancora in carica, gli darebbe certamente un encomio. Tomaso Boer va in pensione. A 83 anni. Gran servitore silenzioso e scrupoloso della diocesi, esponente di punta della Democrazia cristiana e dell’Azione cattolica, corretto e mai eccessivo, tanto che è conosciuto ai più come il “vescovo laico”.
Lui si schermisce perché non ama i riflettori, ma è stato davvero la colonna portante della Curia per decenni. Da lunedì sarà in pensione: passa il testimone a Paolo Rossi, sacrestano volontario al Beato Odorico dopo una vita passata alla Bcc Pordenonese, incarico che intende mantenere. Del predecessore dice: «È qui da 64 anni, è la storia della nostra diocesi, un patrimonio che non va disperso».
Tomaso Boer, con una emme.
«Una, una. Il nome deriva dal latino. Chi lo ha “italianizzato” ci ha messo la doppia. A Tamai siamo in cinque-sei, a Caneva il patrono ha una m sola».
Da dove arriva?
«Da una famiglia povera. Mio padre era contadino, emigrato in Argentina (quando si partiva se chiamati) in due tornate, con due fratelli, tra il 1920 e il 1933. Io sono il più piccolo di quattro fratelli, l’unico ancora vivente. Mi sono sposato nel 1965 con Graziella e se non avessi avuto lei non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto. Ho due figli. Luca vive a Madrid: già direttore delle risorse umane di un grande gruppo industriale ora si occupa della stessa cosa per uno studio privato. Emanuela è medico nefrologo all’ospedale di Gorizia».
Per una vita segretario dell’Opera Odorico da Pordenone.
«È l’ente diocesano istituito nel 1946 con lo scopo di fornire alle attività laicali strutture e mezzi per svolgere le loro attività».
Pochi sanno che aveva casa a Villa Ottoboni.
«Dove la Diocesi aveva trovato sede. Nel 1957 cominciai a lavorare lì. Nel 1962 fu venduta all’Immobiliare Borsa costituita da Locatelli, Zanussi e Savio. Allora la Casa delle opere diocesane si trasferì in piazzetta Costantini: erroneamente viene chiamata ex Curia, perché al terzo piano, su disposizione del vescovo Abramo Freschi, venne accolta provvisoriamente. Venduta nel 1989, con i ricavi e con i contributi della Regione fu costruito il Centro diocesano di attività pastorali».
Va in pensione, pur non essendo dipendente.
«Sono stato amministratore de Il Popolo. Quando Paolo Gaspardo andò in pensione, mi occupai delle due pagine di Pordenone e delle due del Portogruarese».
Ora lascia l’Opera Beato Odorico da Pordenone: cos’è?
«Dovendo mettere a disposizione del laicato cattolico strutture e mezzi è proprietaria di cinque istituti. La Madonna Pellegrina: nasce come casa di formazione ed esercizi spirituali. Venne realizzata con i fondi raccolti in tutte le parrocchie dove, in due anni, venne portata la statua della Madonna».
C’è poi la nota Casa dello studente.
«Fu una donazione della famiglia di Lino Zanussi in memoria del padre Antonio. Casa Betania, invece, è stata realizzata dall’Opera Sacerdozio regale e fu voluta da monsignor Corelli e monsignor Stefani per un gruppo di donne non sposate che desideravano vivere autonomamente, ma non sole. Adesso ospita anziani».
La Casa alpina di Cimolais e la Casa di Madonna di Tramon a Tramonti di Sotto.
«La prima è data in comodato gratuito all’Azione cattolica, la seconda è gestita da Sacerdozio regale».
Lei è stato uomo politico.
«Dal 1960 al 1964 assessore a Brugnera, dal 1964 al 1970 vicesindaco, dal 1970 al 1980 sindaco; dal 1980 al 1995 assessore provinciale. Nella Democrazia cristiana ho assistito al primo comitato circondariale nel 1964, sono sempre stato nel comitato provinciale, segretario amministrativo quando raccolsi il testimone da Alberto Sandrin per cederlo poi ad Alvaro Cardin. Dal 1981 al 1983 sono stato segretario provinciale della Dc».
Moroteo, con Antonini, Rossi, Fioret e Moretton.
«La nostra formazione puntava a una Dc unitaria, priva di correnti. Con la fine della Dc non mi sono mai iscritto ad alcun partito: sono nato democristiano e voglio morire democristiano».
È tra coloro che hanno salvato l’archivio storico della Dc, ora conservato nella biblioteca del seminario.
«Un salvataggio compiuto all’ultimo momento di un patrimonio dal valore storico immenso. Come noto, nella Dc la situazione precipitò in pochissimo tempo. Seppi che tutto l’archivio era stato portato in un casolare di Orcenico Inferiore. Riuscii a contattare la proprietà due giorni prima della ristrutturazione dell’immobile: o lo ritirate o buttiamo via tutto, mi dissero. Un sabato, piovoso chiesi ad Elvio Mariuz, che si occupava delle manutenzioni del seminario, e a Paolo Musolla di darmi una mano: con un’auto e un camion andammo nella casa colonica e recuperammo tutto il materiale. Un po’ bagnato, lo mettemmo dentro a degli scatoloni.
Venne portato nella biblioteca del seminario. Grazie alla collaborazione dell’Archivio diocesano e al contributo della Fondazione Friuli che sostenne il lavoro, presentammo un progetto di restauro e recupero che fu affidato a un giovane e alla direttrice del museo. Oggi tutti quei documenti sono conservati nella biblioteca del seminario e custodiscono la storia di tutta la provincia di Pordenone in quanto non vi è alcun comune che non sia stato governato dalla Democrazia cristiana. Udine, peraltro, seguì il nostro esempio».
Oltre a motivi politico-storici, perché è importante conservare la storia della Dc?
«Perché è la storia del nostro territorio, l’attività politica dei cattolici».
È stato impegnato anche nel mondo imprenditoriale.
«Come presidente del Consorzio cavatori aderente a Unindustria. La Regione aveva chiesto un unico interlocutore e così artigiani e industriali vollero un super partes. Indicarono me. Sono rimasto in carica per quindici anni con i presidenti Moro, Palazzetti e Agrusti».
Lei è stato fondamentale anche nell’Efasce, di cui ora è presidente onorario.
«Sono tra i fondatori. Nel 1907 fu lanciato il segretariato all’emigrazione da preti e laici, primo presidente il cardinale Celso Costantini. Nacque nella parrocchia di Casarsa: sa perché lì?»
No.
«Casarsa era facile da raggiungere col treno da Pordenone, dal Sanvitese, dal Maniaghese e dallo Spilimberghese».
Con quanti vescovi ha collaborato?
«Vittorio De Zanche, con l’ausiliare Roberto Carniello che poi divenne vescovo di Volterra, Abramo Freschi, Sennen Corrà, Ovidio Poletto e Giuseppe Pellegrini».
E con un Papa...
«Con Oscar Ziggiotti organizzai la visita di Giovanni Paolo II a Pordenone».
E adesso?
«Sono presidente dell’Azione cattolica dalla nascita nella mia parrocchia, dove faccio anche parte del consiglio per gli affari economici e di quello della scuola materna. Quanto al resto... farò il pensionato: tra orto e giardino il lavoro non mancherà». —
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