Porta il pc a casa dalla caserma e viene accusato di furto, il giudice lo assolve

Un pc portato a casa per poter completare un lavoro informatico (in caserma non c’era internet) diventato prima strumento di “ricatto” nell’ambito di una disputa di coppia e infine trasformatosi in corpo del reato. È la paradossale vicenda di un caporal maggiore del VII Reggimento Trasmissioni di Sacile, che si è ritrovato imputato davanti al tribunale militare di Verona con la pesante accusa di furto pluriaggravato. Una battaglia legale che si è conclusa ora con l’assoluzione. Era difeso dall’avvocato Luca Scandurra.
Nel 2017 il caporal maggiore aveva ricevuto l’incarico di realizzare un lavoro informatico da presentare alla Fiera del radioamatore: consisteva nel creare una rete chiusa con quattro computer, posta elettronica e antivirus. Gli era stato messo a disposizione un computer della caserma, tuttavia, per poter svolgere il lavoro aveva la necessità di un accesso internet funzionante, che in quel momento in caserma non c’era. Aveva quindi portato il computer a casa (era il 12 aprile 2017).
In quel periodo con la ex compagna, dalla quale il militare aveva avuto due figli, era in corso una disputa per l’affidamento. La donna si era rivolta a un avvocato e aveva chiesto che l’ex compagno sottoscrivesse un ricorso congiunto per il collocamento dei figli dalla madre. Lui si era rifiutato. Lei, allora, secondo la ricostruzione che la difesa ha delineato difronte al tribunale, per indurlo a firmare aveva sottratto il computer per utilizzarlo come arma di scambio: «O mi firmi l’accordo o ti distruggo il computer, e vai in guai seri». Lui si era rivolto ai carabinieri di Sacile per denunciare la ex compagna per estorsione e subito dopo era andato dall’avvocato di lei (che non sapeva nulla dell’estorsione) firmando il ricorso congiunto. Quindi aveva riottenuto il computer, portandolo immediatamente in caserma.
La Procura militare aveva aperto un procedimento per furto aggravato, ma nel corso del processo il caporal maggiore è riuscito a dimostrare che il computer lo aveva portato a casa per svolgere il lavoro, non per appropriarsene, e che non era stato in grado di restituirlo subito solo per colpa della ex compagna. Per dimostrare l’assenza del dolo ha spiegato che se avesse voluto rubare il pc non sarebbe andato dai carabinieri a denunciare, ma avrebbe semplicemente firmato l’accordo e una volta riottenuto il computer se lo sarebbe tenuto. «Invece – sottolinea Scandurra –, per correttezza non ha esitato un minuto e ha denunciato l’accaduto anche a costo di andare incontro a un procedimento penale». Mercoledì è stato assolto con formula piena.
Il militare ha proposto anche un ricorso davanti al tribunale di Pordenone per la modifica del collocamento dei figli, evidenziando il consenso estorto. Il tribunale lo ha accolto e così, adesso, i figli stanno con il padre e la madre deve contribuire al loro mantenimento.
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