Primo ballerino a Pittsburgh, l'udinese Luca Sbrizzi è tornato a casa

UDINE. L’Italia è un paese di grandi ballerini, ma non è un paese per ballerini. Ne è convinto Luca Sbrizzi, il talento udinese emigrato negli Usa a 17 anni di età e che dall’anno scorso è “principal”, cioè primo ballerino, di una delle più brillanti compagini americane, il corpo di ballo del teatro di Pittsburgh, Pennsylvania.
Quella stessa Pittsburgh dove Luca, classe 86’, che mosse i primi passi alla Abidance, la scuola gestita dalla sorella Alessia, ha anche coronato con il matrimonio la sua storia d’amore con Jenna.
Americano d’adozione ma con il Friuli nel cuore, Luca in questi giorni è tornato a casa per partecipare come ospite d’onore al saggio dell’Abidance, in programma martedì 13 giugno al Teatro Nuovo.
Uno spettacolo che per Luca e la sorella Alessia, assieme al padre Luigino, vogliono dedicare alla memoria della madre, Sirene Ferroli, scomparsa due mesi fa.
Luca, cosa significa per te questo spettacolo?
«Ballerò pensando a mia madre, che mi ha sempre appoggiato durante tutta la mia carriera e ci teneva tanto a vedermi ballare al Giovanni da Udine. Ha fatto tutto il possibile per esserci, ma purtroppo il destino ha voluto diversamente».
Per la tua famiglia dev’essere stata una grande soddisfazione vederti raggiungere il successo, anche se lontano da casa. In Italia sarebbe stato più difficile?
«Non credo che la danza, in Italia, sia valorizzata come dovrebbe. Pochi la conoscono e la apprezzano, la maggioranza crede che sia una cosa per ragazze, delicata e noiosa. In tv i balletti sono rari e trasmessi in tarda notte. Questo allontana il grande pubblico e rende dura la vita alle poche compagnie attive».
Negli Stati Uniti, invece?
«Negli Stati Uniti i teatri sono spesso esauriti e c’è grande attenzione anche degli sponsor. Siamo presenti anche nelle scuole con spettacoli pilota che permettono a bambini e ragazzi di conoscere la danza».
Da bambino e da ragazzo hai mai dovuto sopportare il peso di pregiudizi, per aver scelto la danza?
«Certamente, soprattutto alle suole medie: la maggior parte dei miei compagni non capiva cosa facevo e quindi mi prendeva in giro. Mia madre, citando Dante, mi diceva non ti curar di lor, ma guarda e passa»
Ti senti un talento in fuga, quindi?
«Andare all’estero, per me, è stata una scelta inevitabile, non solo per motivi economici, ma anche di realizzazione artistica».
Tutto è iniziato nella scuola di famiglia…
«Sì, il mio amore per la danza è nato all’Abidance, che pur essendo una piccola scuola di provincia, dà ai suoi allievi una preparazione seria e professionale, ed è stata la prima, a Udine, ad introdurre il metodo di studio della Royal Academy of Dance di Londra.
Poi, a 15 anni, mi sono trasferito a Firenze, grazie a una borsa di studio del maestro Pino Carbone, fondatore del Body Code System, un centro europeo di biomeccanica che mi ha aiutato a sviluppare il fisico e a correggere la postura.
La grande occasione è arrivata a 17 anni con un’altra borsa di studio, quella del Boston Ballet, un’offerta che non potevo rifiutare».
Come sei arrivato a Pittsburgh?
«Dopo due anni a Boston, sono entrato nel Boston Ballet. Purtroppo, però, subii un brutto infortunio alla caviglia sinistra, che richiese un intervento chirurgico e una lunga riabilitazione.
Dopo una serie di audizione con le maggiori compagnie americane, nel 2007 entrai nel Pittsburgh Ballet Theatre. Fin dall’inizio ho sentito che era il posto giusto».
Ci sono altri sogni rimasti nel cassetto?
«Ho interpretato da “principal” i più grandi balletti di repertorio classico: Romeo e Giulietta, Bayadere, Don Chisciotte, Giselle, La bella Addormentata. Adesso il sogno è quello di diventare papà».
Il tuo presente e il tuo futuro sono in America. Senti mai nostalgia della tua terra?
«Moltissima, e sono felice ogni volta che posso tornare. A dire la verità, però, se penso alla burocrazia e alla politica del mio Paese, sono contento di tornarci da turista. E mi piange il cuore a dirla, perché sono orgoglioso di essere italiano».
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