Quei cartelli con il prezzo medio della benzina sono inutili: il 58% del costo sono tasse dello Stato
Il monito è arrivato anche dall’Antitrust: quegli avvisi non servono a nulla. Ora c’è il rischio che tutti si allineino ai distributori più cari e a farne le spese è sempre il cittadino: la rubrica Stato Contro
L’ultima trovata dello Stato contro il caro-carburanti è il cartello con il prezzo medio. «Ciascun cittadino – ha spiegato il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso – può verificare, quando va a fare rifornimento, se viene sottoposto a un prezzo superiore al prezzo medio che è inferiore a 2 euro e scegliere un altro gestore».
«Il cittadino potrà anche segnalare sul sito del ministero o alla Guardia di Finanza le eventuali violazioni», gli ha fatto eco il Garante dei Prezzi, Benedetto Mineo.
Poco importa, come ha spiegato l’Antitrust e come confermano i gestori dei distributori, se l’indicazione dei prezzi medi regionali è inutile, visto che i distributori sono in concorrenza tra loro nel raggio di pochi chilometri. Poco importa se così facendo chi pratica i prezzi più bassi potrebbe essere spinto ad alzarli per allinearsi alla media, non il contrario. E poco importa se esistono Applicazioni con i prezzi praticati da tutti i distributori del Friuli Venezia Giulia e del resto del Paese: quella del cartello con il prezzo medio resta un’idea geniale.
Mi spiego. Il 27% del prezzo della benzina è determinato da “platts”, che è il prezzo all’ingrosso sul mercato internazionale, deciso dall’omonima agenzia specializzata con sede a Londra. Questa definisce il costo dei carburanti a livello internazionale. Sul prezzo del diesel il “platts” pesa poco di più (il 32%). C’è, poi, il ricarico dei benzinai che è circa del 10% sia che il carburante costi un euro il litro sia che costi due.
A incidere pesantemente sul prezzo ci pensa lo Stato: su un litro di benzina il 58,6% va in tasse. Su 2 euro, 1,172 finisce nelle casse del Bel Paese. Su un litro di gasolio lo Stato incassa un po’ meno, il 55,1%. Fra le tasse c’è l’Iva e le famose accise, le imposte di scopo, introdotte negli anni Trenta, dai vari governi, per raggiungere determinati obiettivi fissati nel tempo e fronteggiare economicamente improvvise emergenze dovute per lo più a disastri naturali (terremoto del Belice e il crollo della diga del Vajont) ed eventi militari (la guerra in Etiopia). Nel 1995 le accise sono state trasformate da aumenti straordinari a ordinari e strutturali.
Ecco l’idea: invece di ridurre le tasse – operazione certo non facile per un Paese in forte difficoltà – si obbligano i cartelli con i costi medi, che non impediscono al prezzo del carburante di continuare a crescere.
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