Quei cento chiodi di Olmi che danno valore all'uomo

Una storia che sottolinea la superiorità delle persone rispetto alle leggi disumanizzate
Una pellicola di grande poesia e di ritmi naturali
La differenza tra fede e religione è come quella tra educazione e disciplina. La donna è complice di Dio perché percepisce i progetti di vita
Non si può sapere tutto della natura ma si può godere tutto il suo fascino
Le leggi non devono essere prigioni, ma chiavi per uscire dalle prigioni. E i libri che le contengono, se diventano strumenti che favoriscono le costrizioni, vanno neutralizzati. È questo il messaggio, non scontato e non semplice, ma assolutamente importante, che Ermanno Olmi ci manda con il suo Centochiodi, un film di grande poesia, ma anche si grande capacità simbolica, che sta raccogliendo vastissimi consensi mettendo d'accordo, una volta tanto, la critica e il pubblico.


Ne parliamo con lui che, tra l'altro, ha appena concluso il suo mandato triennale di presidente della giuria del Premio Nonino.


- I film di Olmi richiedono un'ora e mezzo per essere visti e poi qualche giornata per pensarci sopra...

«Credo che tutto quello che abbiamo a portata di mano e di ascolto abbia un'infinità di risvolti. Purtroppo oggi la quantità di informazioni che riceviamo continuamente spesso ci impedisce la riflessione su un film, ma anche su una giornata di vita».


- Nei tuoi film il ritmo di narrazione è tale da permettere di riflettere, o almeno di fissare alcuni abbozzi di riflessione da approfondire successivamente già mentre la storia va avanti, permettendo un importante recupero dei vecchi ritmi di vita...

«È così ed è quello che Andrea Zanzotto - lo ripeto continuamente - richiama alla nostra attenzione parlando dei bioritmi. Il ritmo biologico è un ritmo cosmico e se noi li rompiamo è come mandare un motore fuori fase: rischiamo di grippare. Mi sta molto a cuore consentire agli altri, già mentre ci si esprime o si ascolta, dei ritmi che permettono una vigilanza su quello che stiamo facendo. I giovani parlano molto in fretta, ma lo fanno anche i conduttori della tv e i giornalisti: parlano a una velocità che a volte addirittura non consente di capire quello che dicono. Sono ritmi parossistici e innaturali».


- Il film si apre con una frase di Klibansky: "Ma pur necessari, i libri non parlano da soli". Questo ovviamente non vuol, dire rinnegare i libri, ma rinneghi il modo in cui i libri possono diventare legge inumana. Infatti in questo filma si segnala in maniera netta la differenza tra fede e religione che, in definitiva, rischia di diventare il rivestimento della fede da parte di norme che poi devono essere eseguite e che non sono né naturali, né divine...

«Per capire la distinzione tra fede e religione, facendo esempi meno legati alla trascendenza, ma riportati a un'oggettività terrena, io preferisco riferirmi alla differenza tra disciplina ed educazione. La disciplina è il rigoroso rispetto delle regole. L'educazione, invece, è il rispetto delle persone. La differenza è fondamentale perché l'educazione è un modo di porsi agli altri, mentre la disciplina è il rispetto delle regole che non tiene conto del valore delle persone che quelle regole in qualche modo governano. Per parlare in termini ancora molto dolorosi, non c'è dubbio che gli eserciti nazisti erano rispettosi delle regole che si erano dati, ma contemporaneamente erano disumani. E perfino nelle religioni ci sono delle regole che rispettano la gerarchia di valori che le regole danno, senza tener conto del primato dell'uomo sulle regole».


- Primato dell'uomo che è anche l'unico immediatamente percepibile e semplice anche nelle religioni in quanto l'unico vero modo per dimostrare l'affetto per Dio è quello di avere rispetto per quell'uomo che da Dio è stato creato...

«È così. Ho visto un'anticipazione del libro di Ratzinger e c'è un riferimento preciso al fatto di come il Cristo sia colui che ha portato il primato del rispetto del prossimo rispetto alla disciplina delle regole».


- Questo in Centochiodi è sottolineato con due frasi: "C'è più verità in una carezza che in tutte queste pagine", e "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"...

«Perfettamente. È proprio così».


- Ma non è strano che in questo momento in cui più che parlare di Chiesa, si sta urlando di Chiesa con le sue incursioni nel tessuto di uno Stato, questo film sia diventato, per buona parte dei credenti e anche dei dubitanti, un punto di riferimento scrutato più della Chiesa che sembra continuare a perdere capacità di dialogo?

«Io non voglio nemmeno sfiorare questa responsabilità che alcuni mi attribuiscono, ma sento che la Chiesa ufficiale e istituzionale ha perso parte del rapporto con l'uomo della strada, mentre l'uomo della strada vuole avere rapporti con la trascendenza e con la fede. Quindi, in fondo si ribadisce quello che ci siamo già detti e cioè che un'istituzione che affermi senza tentennamenti regole formali alla fine perde il rapporto con la vita. Ed ecco che il cittadino di oggi che vive nell'aerea del mondo cattolico, percepisce riferimenti non sono più dentro la Chiesa istituzionale, ma dentro quella profetica perché è proprio questo il suggerimento che Cristo è venuto a darci».


- Anche perché se si dà un eccessivo valore alla legge togliendolo all'uomo, automaticamente ci si allegerisce di responsabilità, proprio come i nazisti che nei processi per le loro stragi si difendevano dicendo "Non ho fatto altro che eseguire gli ordini".

«D'accordo. Uno può dire: "Io ho rispettato le regole in maniera disciplinata e quindi sono da assolvere". No: tu sei da condannare se nell'osservare le regole non hai rispettato l'uomo».


- È un po' come coloro che si attendono i miracoli da Dio, mentre forse in realtà è Dio che si aspetta i miracoli, sia pure più lenti sofferti e faticosi, da noi.

«È proprio questo. In una chiacchierata con monsignor Ravasi dicevo che Dio, per chi crede in lui come creatore dell'universo, quando si è messo all'opera ha diviso la luce dalle tenebre, le acque dall'asciutto e tutte le forme di vita. Quello che non è riuscito a fare è dividere il bene dal male. Dio non divide il bene dal male se non attraverso gli uomini. E proprio per questo, per chi crede, ha manda uno come Gesù Cristo: per mostrarci che si può, da uomini, dividere il bene dal male».


- A riuscirci sarebbe il miracolo più grande...

«A riuscirci. Mentre nella creazione bene e male si confondono, è l'uomo che deve, attraverso la conoscenza dell'albero del bene e del male, agire secondo il modello sublime che lui ci ha mostrato attraverso Cristo».


- A questo proposito balza in evidenza un'altra frase del film: "Nel giorno del giudizio sarà Lui a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo"...

«Attenzione: parliamo del Dio del male, del Dio che ha diviso gli uomini, quello che li ha messi l'uno contro l'altro, che non risponde al grido del dolore umano. D'altronde già nel grande pensiero delle Scritture, Dio e il male convivono al punto che in Giobbe, per esempio, Dio e il suo avversario si sfidano. Non è forse Lucifero il più bell'angelo del paradiso? Come mai diventa il demone del male? Vuol dire che nell'energia che mette in moto tutte le esistenze cosmiche, c'è sia bene, sia male. E proprio nel momento in cui diventa consapevole di questo che l'uomo lo può separare. In un animale il bene e il male sono ancora confusi perché in lui non c'è consapevolezza. L'uomo, invece, è proprio l'opportunità del riscatto».


- Nel film c'è un accenno brevissimo, ma che a me sembra molto significativo, quando si parla della "donna complice di Dio". Significativo perché il nostro mondo spesso ancora vede la donna come essere inferiore, quasi come opera del demonio. E non mi riferisco soltanto a certe parti dell'islam, ma anche a certe parti del cattolicesimo...

«È chiaro - lo dicono anche le Scritture - che la donna è una figura chiave nello svolgersi della storia».


- Anche sotto Pasqua questo è vero con la Madonna dolente...

«Leggevo proprio oggi che la stazione più toccante che Ravasi ha scritto è quella dell'incontro con le donne. Perché dico che la donna è complice di Dio? Perché la donna è generatrice di vita e quindi ha la sensibilità di percepire i progetti di vita, mentre il maschio è ancora legato alla figura di quell'Adamo solitario che certamente si compiaceva e si stupiva di quello che aveva intorno, ma era una creatura in solitudine. E Dio, il creatore, capisce che ha bisogno di una compagna che sia l'anello che Dio crea per la sua creatura uomo, perché l'uomo, pur leggendo lo stupore del creato, da solo non era completo. E sarà proprio la donna a portare il genere umano alla soglia di quell'atto, davanti all'albero del frutto proibito, per cui diventeremo consapevoli del bene e del male. Quindi la donna è sempre complice di Dio, nel bene e nel male».


- Noi siamo abituati a parlare di due culture, quella scientifica e quella umanistica, e a sforzarci di unirle senza mai riuscirci. Ma c'è anche un'altra cultura che emerge in tutti i tuoi film, e che in questo spicca ancora di più nel contrasto traumatico con i libri. Una terza cultura di cui parliamo poco, che spesso dimentichiamo e che potrebbe essere il trait d'union tra le altre due: la cultura naturale delle tradizioni, che è già dentro di noi e che fa da basamento alle altre che dobbiamo costruirci...

«Sono d'accordissimo. L'uomo ha la capacità di indagare la realtà e in questa sua indagine crea categorie di valori per le quali occorre prima definire categorie distintive mettendo su una scacchiera realtà che si accostano e si scontrano tra loro. Per esempio: dal punto di vista filosofico diciamo che l'amore è un valore universalmente riconosciuto. Però se parliamo di amore universalmente riconosciuto come di un'icona che esprime il concetto di amore, questo sarà diverso dall'amare che è l'atto che l'uomo compie nell'affermare il valore amore. Sono cose molto vicine, ma al tempo stesso ben distinguibili. Infatti quanta gente parla di amore e forse non ha mai amato davvero? La cultura che segnali come presenza costante nei miei film, è quella di chi vive tutto ciò che è stato razionalizzato dalla ragione, ma che non si accontenta di avere il possesso razionale di un valore: vuole viverlo senza nemmeno pensare a questa divisione tra scienza, fede e filosofia. Vuole vivere la realtà come chi ama e non si domanda perché lo fa, o quale tipo di filosofia sta assecondando. Ama e nell'amare afferma la vita. La natura fa lo stesso: con la scienza abbiamo capito che la natura si muove in un certo modo, ma che senso ha capire senza vedere che il creato mantiene comunque un margine di mistero? Se leggo un libro di botanica, posso avere dei concetti molto chiari, ma se mi metto dietro casa a guardare la natura che si esprime nel cambio delle stagioni, nel sorprendermi con i colori, con le forme, con tutto ciò che ogni volta la natura rinnova attraverso la vita, non attraverso un processo razionale, ma vivo un vero miracolo».


- Insomma, il processo razionale resta a noi come uomini autonomamente pensanti...

«E si ritorna all'affermazione di Klibansky: i libri sono necessari, però non sono la vita, perché non parlano da soli. Per parlare devi essere vivo, devi essere disponibile all'altro».


- Si potrebbe dire che si deve essere disponibile a quella che può essere definita una conversione laica continua...

«Provo a dirla così: sono un aspirante cristiano, ho ben presente il modello, ma ho anche ben presente la distanza che c'è tra quel modello e me di cui sono soltanto una pallidissima imitazione. Ma non riesco a pensare a un trascendente che non nasca dall'immanente. Voglio dire che se a furia di guardare per aria, al trascendente, perdo la possibilità di godere con lo sguardo di tutto ciò che l'uomo ha a disposizione nell'immanente, cosa me ne importa del trascendente? Voglio dire: si è sempre detto che prima moriamo, prima andiamo in paradiso. Ma neanche per sogno. Io sono addirittura spinto da un sentimento di espansione della mia felicità guardando il trascendente, ma proprio perché mi calo nell'immanente e voglio godere di tutte le cose che il creato mi mette a disposizione. È chiaro, poi, che la mia azione è sempre legata a quanto, nel vivere la mia vita, io rispetto gli altri. Quindi torniamo all'inizio del discorso».


- Hai annunciato che questo sarà il tuo ultimo film narrato e che poi tornerai ai documentari. A parte il fatto che con la splendida fotografia che con tuo figlio ci hai donato anche questa volta, il frutto sarà sicuramente ottimo, ma anche senza più narrare si possono lanciare dei messaggi...

«Secondo me non è tanto lanciare messaggi, ma dare una toccatina di gomito al tuo vicino per dire: "Guarda. Hai visto com'è bella quella cosa? E magari è una cosa che è davanti al nostro sguardo e che forse, distratti da altro, non osserviamo. Ecco, io vorrei proprio fare in qualche modo questo: far notare al mio vicino quante cose belle ci sono che spesso non notiamo».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto