Quei Giganti della memoria custodi del nostro paesaggio LE FOTO
Una grande storia naturale del Friuli Venezia Giulia fatta di eleganza e grazia e testimoniata dai Giganti della memoria. S’intitola cosí il libro che la Selekta di Andrea Mascarin dedica ai Grandi alberi e monumenti naturali della regione «simbolo dell’eternità e del miracolo della vita, che a confine tra cielo e terra, testimoniano silenziosamente la storia e gli uomini che vi hanno fatto parte».
Ci sono alberi, nella nostra Regione, che fanno mancare il respiro per la loro bellezza e maestosità - spiega l’editore -. Noi crediamo che di fronte a essi l’uomo possa ritrovare quella parte di sé che ha perso a causa del continuo logorío della frenesia moderna e, fermandosi davanti a questi longevi giganti, possa ascoltare la Storia che essi raccontano tra il fruscio delle eleganti fronde sfiorate dal vento. I testi del volume, che costa 45 euro e sarà presentato sabato, alle 15.45, a palazzo Belgrado a Udine, sono a firma di Mario Di Gallo arricchiti dalle fotografie di Stefano Zanini e Dario Di Gallo, esperti professionisti del Dipartimento forestale del Fvg; e dai disegni di Franco Dugo.
«A volte giro intorno a queste strutture della terra da solo e si innesca una dinamica veramente intrigante - scrive Dario Di Gallo –. I pensieri si sciolgono, la logica molla la sua presa, l’istinto emerge felice! Allora lascio il cavalletto e gli attrezzi vicino al tronco, do un’occhiata in giro per essere sicuro che nessuno mi veda: sarebbe imbarazzante, un pandolo di quasi un metro e novanta che fa la scimmia. E Salgo su. Entro nel sogno e sorrido».
Mario Di Gallo racconta la triste fine del faggio nel bosco bandito di Timau, età stimata trecento anni. «C’era un grande e annoso faggio a Timau, giustamente eletto a monumento naturale, nel bosco Balli a protezione della borgata Oubarlont del Pauarn; aveva superato indenne due guerre mondiali, era stato testimone muto delle poderose valanghe che si staccano 1000 metri piú in alto del Plan da la Sacje, aveva fermato le pietre staccatesi dalle rocce del Gamspitz; era entrato nel mito, nella cultura e negli affetti della gente, gli era stata riconosciuta un’anima, insomma.
È morto in piena salute nel 2002 a quasi 300 anni, insieme ad altri faggi centenari del Balli, stroncato da una motosega e spazzato via dalle ruspe nel giro di poche ore, per essere sostituito da un anonimo paramassi in ferro e cemento, monumento “culturale” alla tecnocrazia e alla protervia smisurata dell’uomo. Il bosco bandito di Timau, però, non ha perso il valore di tutore del villaggio, come gli abitanti stessi l’hanno voluta da centinaia d’anni a questa parte». A
ncora Mario Di Gallo racconta dei visitatori dei Giganti della Memoria: «Il cerambice della quercia risale verso la chioma in cerca delle foglie - scrive – è lungo quanto mezzo dito indice e si muove elegantemente con quelle sue lunghe antenne segmentate. Risale il tronco, alzando le elitre e liberando le ali, di tanto in tanto, ma non per volare, preferisce spostarsi molleggiando sulle sottili zampe riflesse. È uno dei pochi superstiti di una covata deposta quattro estati prima tra le fessure della corteccia.
Le larve che si generarono dalle uova quell’estate riuscirono quasi tutte a scavarsi profonde gallerie nel legno profumato e dolciastro. Durante l’autunno il picchio verde, giunto chissà da dove, si mise in vigile ascolto appeso con le unghie alla corteccia. Il ticchettio prodotto dalle grosse larve era per lui un ghiotto segnale, facile da seguire. Bastava scavare e scalzare a colpi di potenti beccate scaglie di corteccia e di legno, ascoltare la provenienza del ticchettio e, di nuovo, dirigere il becco in quel senso fino a intercettare la galleria scavata dalla larva. Era stato poi facile per il picchio infilare la lunga e spinosa lingua nel foro, infilzare la tenera larva bianca e trasformarla in un succulento e nutriente boccone. L’uccello, in questo modo, si sarebbe sfamato e la quercia ne avrebbe giovato in salute».
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