Quelli che scesero in piazza
Cinquant’anni fa, giusti giusti. Dobbiamo partire da lì per inquadrare la situazione universitaria di adesso. Bollettino della Camera di commercio di Udine, marzo 1966, ecco uno studio elaborato dal professor Giuseppe Gentilli, originario di San Daniele e docente alla University of West Australia. A quell’epoca, il Friuli impiegava appena 8 laureati su ogni mille abitanti.
A un livello più basso si trovavano unicamente Sardegna orientale e Polesine. Ogni anno solo 8 giovani friulani su 10 mila abitanti andavano a iscriversi a un’università, soprattutto quella di Padova.
Per quanto riguarda i laureati con lavoro, Gentilli precisava che nel numero erano compresi i non friulani stabilitisi tra di noi. “Avviene in Friuli - annotava il professore - ciò che si riscontra, pur in misura ancora maggiore, nelle aree sottosviluppate dell’Asia e dell’Africa: una notevole percentuale degli scarsi laureati locali preferisce emigrare verso i Paesi più progrediti.
Di conseguenza nelle zone arretrate si aggrava il vuoto culturale ed economico che accentua il distacco nei confronti del resto del mondo”.
Allora, chiara la situazione? Friuli appena un po’ meglio di certe zone africane. Marginali, periferici, dislocati lungo la cortina di ferro che ci separava dal mondo comunista, oberati dalle “servitù militari” per la presenza dell’esercito sulla frontiera, e tutto questo alla vigilia d’un evento disastroso come il terremoto del 1976.
Non c’è da meravigliarsi troppo se alcuni anni prima padre David Maria Turoldo avesse suscitato scandalo, proteste e censure girando un film come “Gli ultimi”, nel quale raccontava una realtà in netto contrasto con le parole d’ordine del potere e del boom economico.
E non va scordato lo scenario sociale e politico in cui l’Italia cominciò a navigare, da un certo momento, fra le convulsioni del terrore e dell’odio senza tregua, in quella che venne definita per un decennio “la notte della Repubblica”.
L’università friulana, concessa dalla legge sulla ricostruzione del 1977, nasceva da questo insieme di avvenimenti nei quali un posto di assoluto rilievo spettò al rapporto, complicato, innaturale, delicatissimo, creatosi al momento in cui venne istituita la Regione Fvg con capoluogo Trieste.
Anche la vicenda dell’ateneo si collocò in tale ambito, fonte di discussioni mai finite e di nodi rimasti irrisolti. Gli esponenti friulani dei partiti nazionali venivano accusati di essere arrendevoli rispetto ai loro leader che gestivano tutto da Roma.
Vista da là, la questione era anche semplice: c’era una città storica, di oltre 200 mila abitanti, alla quale era stato tolto tutto il retroterra, diventato jugoslavo, e quindi con la necessità di trovare una nuova funzione come luogo di servizi, di uffici pubblici, pure di università.
E c’era una terra vasta come il Friuli, che ancora accorpava Udine e Pordenone dentro la stessa Provincia, con un livello economico da sottosviluppo endemico. Di fronte alla scelta da fare (a chi assegnare la nuova facoltà di medicina?) non ci furono dubbi: Trieste naturalmente. E a quel punto accadde l’incredibile. I friulani andarono in piazza 50 anni fa, nel 1966, ma non c’erano solo gli studenti, che in queste vicende non si fanno pregare. Si schierarono per l’università personaggi influenti, non uniti dall’ideologia, ma da una battaglia vera da fare. Cose mai viste e mai ripetutesi.
Nel numero di “Stele di Nadal 2016”, appena uscito, Gianfranco Ellero, protagonista di spicco in quell’impegno fondamentale, li racconta tutti: Etelredo Pascolo, Corrado Cecotto, Fausto Schiavi, Gino di Caporiacco, Tarcisio Petracco, Raffaele Carrozzo, Giuseppe Gentilli, pre Checo Placereani, monsignor Alfredo Battisti, Pietro Londero, Vincenzo Ilardi, Antonio Comelli, Arnaldo Baracetti. Interessante le ultime due citazioni, riguardanti leader importanti nella Dc e nel Pci, partiti che negli anni Sessanta osteggiarono l’idea di un’università friulana.
Il che avveniva in nome dell’unità regionale, compattata attorno al capoluogo, ma anche del timore di creare laboratori di contestazione, com’era accaduto a Trento con la facoltà di Sociologia. In quei momenti convulsi, la protesta per Medicina a Udine fece nascere il Movimento Friuli, all’interno del quale ci fu chi, come Gino di Caporiacco, capì che per arrivare a risultati concreti doveva esserci una strategia dei piccoli passi verso i grandi partiti. Comelli e Baracetti furono i principali interlocutori e alleati in ciò. Schierata invece senza dubbi o problemi la Chiesa, fin dall’inizio.
Quando decollò, l’università del Friuli era uno scricciolo senza sedi e personale. Un’idea tutta da inventare. Fase pionieristica vissuta con passione da friulani e non, come il professor Franco Frilli, docente di entomologia, triestino sbarcato a Udine da Piacenza, con al seguito gli scatoloni pieni di collezioni di lepidotteri. O come il glottologo Roberto Gusmani, novarese.
O come il vulcanico Gaetano Salvatore, napoletano, presidente del comitato ordinatore di Medicina. Si cominciò così per arrivare, passetto dopo passetto, ai traguardi attuali. Non conta tanto aver superato la “rivale” Trieste nei numeri, quanto nell’essersi radicati a Udine diventandone la parte più dinamica. Immaginate per un attimo la città senza l’ateneo, le sue sedi, i 15 mila studenti, i docenti, il personale amministrativo. Scenario da incubo. Teniamocela allora ben stretta, camminiamo assieme e ringraziamo chi aveva capito e visto giusto.
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