Ragazza scomparsa e uccisa, parla la cugina: "Da quel giorno morirono anche i suoi genitori"

Isabella De Nardo è parente della studentessa di San Vito al Tagliamento, Rossella Corazzin, che il 21 agosto 1975 scomparve nei boschi di Tai di Cadore, dove si trovava in vacanza con la famiglia, e, secondo le parole del “mostro del Circeo” Angelo Izzo, fu rapita e uccisa sul lago Trasimeno. «Purtroppo pare che qualcosa combaci, tra le indagini e le rivelazioni di questo signore»
Mara Corazzin, una delle cugine di Rossella Corazzin (nella foto a destra)
Mara Corazzin, una delle cugine di Rossella Corazzin (nella foto a destra)

PORDENONE. «È sconvolgente, spero non sia vero». Isabella De Nardo è cugina di Rossella Corazzin, la studentessa di San Vito al Tagliamento che il 21 agosto 1975 scomparve nei boschi di Tai di Cadore, dove si trovava in vacanza con i genitori, e, secondo le parole del “mostro del Circeo” Angelo Izzo, fu rapita e uccisa sul lago Trasimeno.

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«Spero che non sia vero – dice la donna, che abita a San Vito al Tagliamento – perché il personaggio è quello che è: sarebbe veramente orribile».

Lei si era fatta una ragione della scomparsa della cugina: «Pensavo si fosse persa nel bosco e fosse stata cercata dalla parte sbagliata, non avendo mai trovato, dopo tanti anni di ricerche, qualcosa. Oggi queste rivelazioni riaprono una ferita, fanno male e lasciano sconvolti».

Sospira e aggiunge: «Meno male che i vecchi (genitori, ndr) sono morti e che quindi non sapranno mai di questi sviluppi, ammesso che siano veri. Purtroppo pare che qualcosa combaci, tra le indagini e le rivelazioni di questo signore».

La donna venne contattata, lo scorso autunno, dalla redazione di “Chi l’ha visto”: «Mi dissero che mi avrebbero fatto sapere di eventuali sviluppi, ma non li ho più sentiti».

Rossella Corazzin studiava al liceo classico di Pordenone. Il 21 agosto 1975, in vacanza con i genitori, si allontanò da casa per una passeggiata nei boschi verso il monte Zucco portando con sé una macchina fotografica e un libro. Sparì nel nulla. Le indagini seguirono solo per qualche giorno la pista della fuga volontaria.



La sanvitese Roberta Garlatti era un’amica d’infanzia della giovane. Fu lei a scattarle, nel luglio 1975 a Forni di Sopra, l’ultima foto, che poi fu diffusa in tutto il paese per le ricerche: «Ci conoscevamo dalla prima elementare: al liceo classico fummo smistate in sezioni diverse, ma mantenemmo una stretta amicizia. Era una ragazza dolce, riservata, timida: di buon cuore».

Con le amiche parlarono, e tante volte, di quella misteriosa quanto improvvisa scomparsa: «Non pensavamo fosse scappata per dissidi: sicuramente era successo qualcosa».

Perché Rossella «era molto protetta dai genitori: andammo in vacanza a Forni di Sopra, con un’amica, venti giorni prima della sua scomparsa. Prima di partire per il Cadore venne a casa mia a salutarci; vestiva di bianco: “Ci vediamo al ritorno”, disse.

Non andò così. Per anni non ci si capacitava dell’accaduto, ci si diceva: “Tornerà”. Quando una persona scompare lascia sempre una speranza, una porta aperta».

Mamma e papà non se ne fecero mai una ragione. «Uno strazio andarli a trovare, continuavano a cercare la loro unica figlia. Oggi – aggiunge Roberta – tornano quelle emozioni, quella ferita si riapre, i ricordi riemergono».

Il padre Sergio morì di ictus cinque anni dopo la scomparsa della figlia («la moglie diceva che fu ucciso dal crepacuore»), la madre Angela Trevisan, conosciuta come Elisanna, nell’ottobre 2009. In cuor suo aveva sempre nutrito la speranza di poter riabbracciare l’amata figlia. Di fatto la loro esistenza finì la sera della scomparsa.

L’amica del cuore di Rossella Corazzin era Bianca Maria Gabrielli, figlia di un allora medico dell’ospedale di San Vito, da molti anni residente alle Canarie. A lei, il giorno prima della scomparsa, la studentessa aveva inviato una lettera dove annunciava di essere stata favorevolmente impressionata da alcuni artisti che aveva incontrato al rifugio di Costa Piana.

«Essi conducono una vita invidiabile», aveva scritto. Il forte era già stato controllato, poi vennero setacciati i cunicoli di fuga, costruiti dai soldati ai tempi della Grande Guerra, individuati solo dopo che un generale dell’Esercito in pensione aveva consegnato alla Procura di Belluno le mappe dettagliate. Nei tre cunicoli gli speleologi non trovarono tracce riconducibili alla giovane sanvitese.

«Oggi stiamo parlando di persone che hanno detto tutto e il contrario – premette la cugina Mara Corazzin, nata il 13 marzo, come Rossella ma sei anni prima –. Spero che i magistrati facciano luce definitivamente su quanto accaduto».

L’8 ottobre 2010 il tribunale di Pordenone ha dichiarato la morte presunta della giovane, dopo che la Procura di Belluno, che nel 2003 aveva riaperto l’inchiesta, non era giunta a conclusioni diverse dalle precedenti. «Il mio pensiero va a Rossella, per ciò che può avere subito e patito.

Penso alla madre, che spesso mi diceva: “Se almeno la trovassi morta, potrei piangerla in cimitero. L’ho cercata una vita”. Continuò a pagare la tariffa dei rifiuti anche per la figlia per decenni, nonostante i rilievi dell’ufficio tributi. Fece ricorso e continuò a pagare così come contestò la dichiarazione di morte presunta.

Inoltre, continuava a lavare i suoi vestiti e a farglieli trovare puliti sul letto. Il giorno del suo compleanno comprava una rosa. Quei genitori non si diedero mai pace: la cercarono ovunque.

Le tracce portavano solo fino a quella panchina sulla strada: i cani fiutarono il suo odore, ma si capiva che qualcuno poteva averla rapita. L’unica alternativa era una caduta nell’orrido, ma le ricerche furono senza esito. Se fosse vero quanto dichiarato da Angelo Izzo, si porrebbe almeno fine a un dolore infinito.

Tutti sappiamo quale sorte tremenda è toccata alle altre vittime e il solo pensiero mi fa inorridire. Mi auguro – conclude – che non sia una delle sue solite uscite e che si possa mettere un punto fermo alla vicenda».
 

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