Regionali, tra campagna elettorale e vita privata: ecco chi sono i candidati alla presidenza del Fvg

Il centrodestra ha puntato sul leghista Massimiliano Fedriga, il centrosinistra sul vicepresidente uscente Sergio Bolzonello e il M5s sul ricercatore Alessandro Fraleoni Morgera. Ma c’è anche l’outsider Sergio Cecotti, ex presidente della Regione, ex sindaco di Udine, ex leghista, oggi impegnato con Patto per l’Autonomia.
I quattro pretendenti per lo scranno più alto sono sostenuti da 440 candidati a “consigliere semplice”, un esercito che si contendente 49 poltrone – due saranno assegnate al governatore e a chi arriverà secondo nella corsa alla presidenza, mentre 47 si giocheranno nella battaglia delle preferenze. Nella composizione delle formazioni ha pesato soprattutto la scarsa presenza di donne – la legge regionale impone l’equilibrio di genere. E così molti si sono dovuti accontentare di mini-liste e cedere alle doppie candidature.
Secondo il sondaggio realizzato da Demopolis per Messaggero Veneto e Il Piccolo, Massimiliano Fedriga in volata verso la presidenza della Regione, Sergio Bolzonello e Alessandro Fraleoni Morgera a battagliare per la seconda posizione con Sergio Cecotti fanalino di coda della competizione. Un dato che fa riferimento ai primi giorni di aprile e quindi passibile di cambiamenti.
Detto questo, uno dei fattori che ha influenzato l'analisi è proprio la notorietà dei candidati alla presidenza della Regione. Abbiamo raccolto in questo speciale i ritratti dei quattro aspiranti governatori del Friuli Venezia Giulia.
Sergio Cecotti, l'uomo dei visitors amato dagli udinesi

È difficile, forse quasi impossibile, trovare un friulano che non provi almeno un briciolo di simpatia per Sergio Cecotti. Il candidato presidente del Patto per l’Autonomia può piacere o meno – da un punto di vista politico –, ma quando lo si ascolta si percepiscono in ogni caso due consapevolezze: dà la sensazione di conoscere sempre quello di cui parla e di esprimersi solo per la difesa del Fvg, senza alcun secondo fine romano. Merito, anche, di una mente fuori dal comune.
Laureato in Fisica alla Normale di Pisa, insegna teoria quantistica dei campi alla Sissa di Trieste e basta dare un’occhiata al suo curriculum scientifico per alzarsi in piedi e togliersi il cappello: Lyman Laboratory ad Harvard, tappa alla Ucla di Los Angeles e al Cern di Ginevra, già da politico ha curato, assieme a Cumrum Vafa, Hiroshi Oguri e Misha Bershadsky, lo studio Kodaira-Spencer Theory of Gravity and Exact Results for Quantum String Amplitudes, citato quasi 400 volte nei primi 15 anni dalla pubblicazione.
Per tutti o quasi, dalle parti di Udine, è stato “Il sindic” per i dieci anni di mandato ricordati da molti cittadini come i migliori della storia del capoluogo friulano dopo quelli di Angelo Candolini. L’avventura politica di Cecotti, però, comincia nel 1993 quando si iscrive alla Lega Nord ed entra in Consiglio regionale.
Sono gli anni a cavallo tra la Prima e la Seconda Repubblica, ma lui – autore pure del romanzo giallo in lingua friulana “L’acuile e il lion”, da cui è stato tratto anche un film – si destreggia tra i banchi di piazza Oberdan fino a diventare presidente della Regione nel novembre del 1995. Prende il posto di Alessandra Guerra e la maggioranza che lo sostiene – Lega Nord, Ppi, Pds, Verdi e Socialisti – alimenta i sospetti di un accordo sotterraneo con il blocco progressista per la defenestrazione della prima presidente donna del Fvg.
Sia come sia, a piazza Unità Cecotti resta undici mesi e nel 1998 diventa sindaco battendo – con la Lega e due civiche – il candidato di Forza Italia Pietro Commessatti. Passano cinque anni e comincia l’epopea dei visitors. Quando Silvio Berlusconi e Umberto Bossi impongono Guerra candidata alla presidenza della Regione Cecotti urla, strepita e, a Udine, abbandona il Carroccio per allearsi con il centrosinistra. Una mossa che portò al sorrisetto di Bossi che la commentò, in relazione al friulanismo cecottiano, con un secco: «Vedremo se sarà un’aquila o un tacchino».
Risultato? Trionfo al primo turno – stracciando Daniele Franz – e secondo mandato a palazzo D’Aronco. A Udine se lo ricordano per la sua capacità amministrativa, ma anche per qualche sua strana abitudine, come quella di passeggiare o correre in piena notte per la città. Oppure, ancora, le sue minacce di dimissioni ripetute a iosa, come quella volta in cui costrinse il suo allora vicesindaco Vincenzo Martines a ritornare in città in tutta da fretta, dall’aeroporto di Venezia a check-in e controlli di sicurezza già fatti, per evitare che crollasse la giunta.

Sposato con Magda Uliana – dirigente della Regione – e papà di Vittorio Luîs, dal 2008 in poi si è preso una lunga pausa politica prima del suo ritorno in campo a fine 2016. Tra i principali oppositori della riforma costituzionale targata Matteo Renzi, infatti, è diventato poi il simbolo degli autonomisti del Patto che puntano alla Regione. Ha detto sì – come d’abitudine – dopo un lungo corteggiamento, perché il personaggio è tanto geniale quanto spigoloso.
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«Il Fvg non può resistere a un’altra legislatura simile a quelle di Renzo Tondo e Debora Serracchiani» ha spiegato più volte. E ha deciso di metterci la faccia, ancora una volta nonostante la difficoltà dell’impresa e il rischio di non entrare nemmeno in Consiglio. Mica da tutti, al giorno d’oggi. Ma Cecotti è così. Se ci crede, combatte. Senza alcun timore. Anche perché, come disse un saggio, arriva per tutti il momento di decidere se stare con Roma o con la Gallia. E Cecotti, la sua scelta di campo, l’ha fatta da sempre.
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Grinta e determinazione, ma anche un carattere a doppia faccia: spigoloso e impulsivo come pochi ed empatico con la gente, uno dei segreti della sua popolarità. Nel primo caso ne sanno qualcosa coloro che devono sopportarlo nelle tribune dei campi da calcio del “suo” Pordenone e si ode ancora in municipio l’eco delle sue sfuriate così come i sibili dei telefonini lanciati contro i suoi assessori.
Carattere formato durante una vita da gavetta, a partire da quella di garzone nella bottega di formaggi del padre, originario del Montello, in piazza XX Settembre a Pordenone. Lavoro in negozio che in gioventù ha accompagnato inseguendo il pallone sul polveroso campo del Don Bosco. Nel frattempo le scuole serali per diventare ragioniere, l’abilitazione da commercialista, la pratica in uno storico studio cittadino, quindi l’attività in proprio con alcuni soci e la moglie Patrizia, l’unica, dicono, in grado di domare le sue asperità.
Tornando alle passioni, quella del calcio si è unita alla politica anche in questo caso seguendo, fin da giovane, una strada impervia. Non la Dc, non il Pci, non la terza via socialista, ma il piccolo partito Liberale e in più nella componente gobettiana di sinistra, se così si può chiamare, alla corte di Valerio Zanone, lontano dalla destra alto-borghese, confindustriale e un pò reazionaria.
Nonostante tutto, alla fine degli anni Ottanta, coi calzoni ancora corti, diventa assessore al Bilancio di Alvaro Cardin, il popolarissimo sindaco di allora. Pacche sulle spalle, carezze ai bambini, un sorriso per tutti uniti a una fine capacità politica quella di Alvaro. Il crollo della Prima Repubblica, però, lo travolge, ma non il suo giovane assessore che intraprende la lunga marcia nel deserto degli anni Novanta tra laboratori moderati di centrosinistra e una mini tappa nei Verdi Colomba dell’amico e radicale storico Mario Puiatti, mentre molti suoi colleghi professionisti inseguivano il sogno berlusconiano.
Nel 2001, al disastroso epilogo dell’era pasiniana, la grande occasione: fonda una lista civica con il suo consulente politico e futuro braccio destro amministrativo, l’ex Pci riformista Gianni Zanolin, e incassato il sì di Ds e Margherita si candida. Ma, accanto al rampante centrodestra, trova il redivivo Cardin, più forte che mai, in odore di rivincita. Complice una campagna della destra su una sua presunta ineleggibilità, ad Alvaro sfugge il ballottaggio. Sorride, ma gliela farà pagare cara a conclusione di infinite - con rito di stretta osservanza democristiana - trattative. Sceglie il giovane allievo rispetto al leghista Alberto Scotti e contribuisce ad eleggerlo. Un “padre” politico troppo ingombrante per il neo sindaco, ma ci pensa un fato drammatico a legittimarlo. Nel 2002 mezza Pordenone finisce sott’acqua.
Lui non si scoraggia: indossa la giacca della protezione civile, infila gli anfibi e per giorni gira la città in barca, coordina i soccorsi, fa appello alle istituzioni. È la piena legittimazione: coi piedi nel fango inizia la marcia trionfale. Inaugura il nuovo teatro comunale, realizza 280 milioni di opere pubbliche grazie al sostegno di Riccardo Illy nella cui giunta siedono i potentissimi assessori Gianfranco Moretton e Lodovico Sonego. La riconferma, nel 2006, è scontata. Ma cinque anni dopo, esauriti i due mandati di legge, sono dolori: Zanolin vuole candidarsi e lui non ci crede. Il divorzio è doloroso e lascia tracce profonde.
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Bolzonello sceglie lo sconosciuto manager Electrolux Claudio Pedrotti. Ma già in finire di campagna elettorale i rapporti si incrinano e appena eletto il neo sindaco si smarca così come Bolzonello fece con Cardin. Si vendicherà cinque anni dopo. Nel frattempo ritorna alla professione ma i confini del Noncello sono troppo limitati per le sue ambizioni. Fa due anni di allenamento per candidarsi alle regionali del 2013. Il vento è controcorrente sospinto dalla non vittoria di Bersani alle politiche e dai travagli dem. Il giorno del voto lui e Serracchiani (corsi e ricorsi) temono di arrivare terzi. Non va così, grazie alle divisioni nel centrodestra, e Bolzonello, sospinto da quasi 10 mila preferenze, ha il posto vicario di diritto.

Capolinea? Tutt’altro. Di nuovo giù a testa bassa, fin dal primo giorno. Con Serracchiani ascesa agli onori del Pd nazionale, l’obiettivo è la successione nel 2018. Per farlo sale sul carro di Renzi, dopo essere stato plenipotenziario pordenonese del “we care” veltroniano, annacqua il suo doppio ruolo civico, fonte di molti scontri, e, da buon maratoneta, macina chilometri, relazioni oltre il suo giglio magico, provvedimenti. Ingoia rospi come il no al nuovo ospedale di Pordenone in Comina, ma fa buon viso a cattivo gioco. È il vento che cambia - altro che Burian - a favorirlo a fine partita: molti aspiranti concorrenti nel Pd si mettono sottocoperta e gli agevolano la strada.
Richiamando il 2013, lui ci crede nella possibilità del sorpasso sul centrodestra. Avrà ragione? Poche settimane e il verdetto sarà sciolto.
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Il politico-candidato che può diventare il presidente eletto direttamente più giovane della Regione Autonoma – e il secondo della storia dopo Alessandra Guerra che entrò a piazza Unità a 31 anni – ha il Carroccio e Trieste iscritto nel proprio dna.
Già il nome, Massimiliano, scelto dai genitori in onore dell’Asburgo che diventò, per breve tempo, imperatore del Messico lo certifica. Perché se la carta d’identità di Fedriga alla voce luogo di nascita recita Verona, è nel capoluogo regionale che cresce e spicca il volo fino ai vertici del partito a un’età che definirla vita è poco. L’uomo ha la politica nel sangue.
Fin dai tempi del liceo scientifico Galileo Galilei di Trieste dove si inventa una lista di chiara ispirazione conservatrice e a cavallo della maggiore età diventa, per tre volte di fila, rappresentante d’istituto con una percentuale – l’anno della maturità – da elezione bulgara: 75% dei voti e tre eletti su quattro in quota Fedriga.
In precedenza, a nemmeno 16 anni aveva bussato alle porte del Carroccio per la sua prima tessera padana – all’epoca la Lega nazionale non era nemmeno lontanamente contemplata – e il battesimo in piazza con la distribuzione nelle vie del capoluogo di un volantino per l’arrivo di Umberto Bossi in città. Due anni dopo, siamo nel 1998, arriva il primo incarico, quello di coordinatore dei giovani del movimento. L’università si muove di pari passo con l’impegno politico.
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All’Ateneo di Trieste organizza una lista, conservatrice ovviamente, che gli permette – da studente di Scienze della comunicazione – di essere eletto in Senato accademico e nel Consiglio di facoltà. Fuori intanto, mentre si mette in tasca la laurea e il successivo master in marketing aziendale, entra nel Consiglio nazionale – termine leghista per indicare quello regionale – del Fvg di cui nel 2003, a 23 anni, diventa commissario.
È l’anno del trionfo di Riccardo Illy, dello strappo di Sergio Cecotti a Udine e della fuga, di tanti, dal Carroccio. Lui no. Resta fedele a Bossi e nel 2005 comincia a prendere, davvero, confidenza con la stanza dei bottoni del partito visto che viene nominato nel Consiglio federale – leggasi nazionale – della Lega Nord.

Nel 2006 si candida alle Comunali di Trieste – quelle in cui Roberto Dipiazza vince di misura su Ettore Rosato – e diventa colui che raccoglie il maggior numero di preferenze (120) anche se il risultato di lista tiene il Carroccio fuori da Palazzo. La svolta politica, in ogni caso, arriva nel 2008. Nell’anno in cui Silvio Berlusconi trionfa alle Politiche e Renzo Tondo in Fvg, Fedriga “vola” in Parlamento, a nemmeno 28 anni, e comincia a occuparsi di lavoro. Nel 2011, in dissidio con il resto del centrodestra, si candida in solitaria, con la Lega, alle Comunali. Viene eletto (unico, in seguito si dimetterà per fare entrare un altro esponente a Palazzo), ma il Comune passa al centrosinistra.
Nel 2013 si torna al voto per il Parlamento. Il Carroccio nazionale è travolto dagli scandali, ma Fedriga, ancora una volta, resta fedele ad Alberto da Giussano. Ricandidato e rieletto, diventa il nuovo capogruppo padano a Montecitorio. E comincia a essere ospitato in tutti i salotti televisivi che contano. Perché, in fin dei conti mormorano in tanti, è una delle facce pulite della Lega. Tiene il punto, sempre e comunque, rispetto alla linea del partito, ma quando parla lo fa con educazione, senza alzare i toni e convince, eccome, spettatori e presentatori.
Il resto è storia recente. Il 4 marzo porta il Carroccio in Fvg a percentuali stratosferiche e, personalmente, conquista la Camera per la terza volta. Poi c’è il “balletto” sulla scelta del candidato presidente del centrodestra. I partiti chiudono su Tondo, Matteo Salvini, a Udine, assiste a una mini-rivoluzione della base e complice la sollevazione popolare (e pure la presidenz a del Senato) convince Silvio Berlusconi a virare su Fedriga che quindi avvia la seconda campagna elettorale di fila. Chiedendo ancora un pizzico di pazienza alla moglie Elena e ai due figli che, però, in caso di vittoria almeno lo avranno ogni giorno a dormire a casa. Nella sua Trieste, non a Roma per metà settimana.
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Il ricercatore nato a Roma, cresciuto a Bologna e finito a Nordest per amore. Il candidato “quasi per caso” del M5s che, con un passato breve in Alleanza Nazionale, adesso punta al bersaglio grosso, a portare a casa, per il M5s, la prima Regione d’Italia.
Mettetela come volete, ma la storia di Alessandro Fraleoni Morgera è tutto tranne che banale e, alla fine, rappresenta bene la vita da precari di molti esponenti degli Atenei italiani. Nato nella capitale 48 anni or sono, Fraleoni Morgera sbuca a Bologna a meno di una settimana di vita. Segue il padre allora venditore di macchine da scrivere – sì, all’epoca i personal computer dovevano ancora nascere – e qui si porta a casa, nel tempo, un diploma da tecnico industriale.

L’università è chiusa praticamente in tempo – sei mesi di “ritardo” sono una sciocchezza – così come la laurea in chimica industriale. Poi è il turno di un master di secondo livello in direzione industriale e quindi lo sbarco nel mondo del lavoro: quattro anni in un’azienda alle porte di Bologna dove si occupa di approvvigionamento di materie prime e di organizzazione interna dell’impresa. Nel frattempo, siamo nel 2000, a Fraleoni Morgera si spalancano le porte di un dottorato di ricerca – in chimica industriale – ed è grazie a questo, in fondo, che conosce la sua futura consorte e, in quel momento senza nemmeno immaginarlo, avvia il processo che lo porterà in Fvg. È nel corso di una conferenza in Francia, infatti, che conosce Cristina Bertoni (nella foto) – triestina eletta in Consiglio con il M5s nel 2016 – e che tra una tappa e l’altra lo “convince” a sposarla e a trasferirsi.
Corre l’anno 2008 e Fraleoni Morgera trova un impiego a tempo determinato al Sincrotone del capoluogo regionale. Proveniente da una famiglia di destra, nel 2009 si iscrive ad Alleanza Nazionale a supporto della candidatura della madre e della sorella – in corsa a Bologna per il Comunale –, ma poi i comportamenti di Gianfranco Fini lo portano ad abbandonare quel mondo politico.
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Nel frattempo si avvicina ai Meetup cittadini e pochi mesi fa, dopo il tramonto della candidatura di Mauro Capozzella e il niente da fare su Fabrizio Luches deciso dai vertici del M5s, resta l’unico in gara per vestire i panni del candidato governatore alle Regionali. Ultima curiosità: a casa non possiede una televisione. «Io e mia moglie lavoriamo sodo tutto il giorno – spiega – e pensiamo sia, francamente, inutile perdere tempo con la televisione. Preferiamo trascorrere il nostro tempo libero a parlare e discutere con i nostri figli invece di restare attaccati al piccolo schermo».
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