Regione, un terzo del bilancio inghiottito dai vitalizi

Sono più di 150 gli ex consiglieri regionali che beneficiano della “pensione”. Ogni anno uscite per 7,7 milioni per gli assegni mensili

UDINE. I vitalizi degli ex consiglieri inghiottono un terzo del bilancio del Consiglio regionale e impediscono di fatto ogni azione volta a contenere, su questo fronte, i costi della politica. Non lo afferma la vox populi, che spesso spara nel mucchio contro i privilegi della casta senza curarsi di fare i dovuti distinguo, ma lo ha certificato la Corte dei Conti in occasione dell’approvazione del bilancio 2012 della Regione.

E puntuale arriva la conferma dai numeri: nel consuntivo 2011 le uscite per il pagamento dei vitalizi sono ammontate a 7,7 milioni a fronte di entrate per 23,7; nel preventivo 2012 l’esborso è stato quantificato in 7,9 milioni rispetto a entrate per 25,7 di cui 21,3 in forma di stanziamento diretto della Regione; nel preventivo 2013 (quello in corso), in cui sono previste entrate pari a 27,3 milioni di euro (di cui 24,5 direttamente dalle casse regionali) la spesa messa a bilancio per i vitalizi sale a 8,5 milioni, importo verosimilmente inferiore all’esborso effettivo se si considera che, ai preesistenti 140 beneficiari, si sono già aggiunti da maggio 16 nuovi arrivi (tra i 43 ex consiglieri che hanno perso lo scranno dopo le elezioni di aprile), e altri li affiancheranno da qui al 2018. Pur tenendo conto di qualche cancellazione naturale (ma il 60 per cento del vitalizio del de cuius passa automaticamente al coniuge superstite), si può calcolare che gli attuali fruitori dell’assegno superino le 150 unità.

Come funzionano

L’aspetto che presiede alla disciplina degli assegni vitalizi è che, nonostante la presenza di due leggi in materia (una a tutela dei diritti maturati fino al 2013, l’altra efficace dopo tale data, a partire dal 2018), di fatto è impossibile qualsiasi intervento volto alla riduzione dei costi da essi generati, a meno che non si vadano a ledere i diritti acquisiti, attraverso un percorso legislativo di per sé non impraticabile (vedi il caso delle pensioni Inps) ma che, è facile immaginare, aprirebbe la strada a una lunga serie di contenziosi tra Regione ed ex consiglieri: una soluzione irta di difficoltà che, anche per ragioni d’immagine, si pensa nessuno a Trieste voglia percorrere. Ma c’è di più: tra i vari “privilegi” di cui godono gli illustri pensionati, c’è anche quello della rivalutazione automatica dei loro assegni, in parallelo con gli aumenti che scattano sulle indennità dei consiglieri in carica. È una prassi vigente per gli ex parlamentari, come si fa a negarla agli ex consiglieri? Certo, i periodici adeguamenti si sono smagriti dopo il recente blocco dei compensi ai titolari di cariche elettive, ma hanno oliato – eccome – i vitalizi per svariati decenni.

Come intervenire

Si può intervenire sulla materia? Non è impossibile, ma molto laborioso. In forza di ciò c’è da essere certi che anche per i prossimi anni, quantomeno fino al 2018, il costo annuo dei vitalizi continuerà a gravare sul bilancio del Consiglio per più di 8 milioni di euro l’anno.

Se si riflette sui numerosi esponenti politici passati come meteore, per la durata di una sola legislatura, sugli scranni del Consiglio regionale, e da svariati anni (e tuttora) beneficiari del vitalizio (seppure al minimo, 2 mila euro mensili lordi), nonostante dopo la fine del mandato (e spesso anche durante) abbiano potuto svolgere svariate attività professionali o godere di pensione Inps, viene da chiedersi con quale coraggio possa ancora esservi chi giustifica tale indifendibile privilegio. Il pensiero corre, per fare un esempio, alle elezioni del 1993, quelle dell’arrivo trionfale a Trieste di una quindicina di leghisti (tra cui Fontanini, presidente della Giunta per cinque mesi), parecchi dei quali – archiviata l’esperienza – beneficiano tuttora del vitalizio, magari acquisito anticipatamente a 55 anni (allora era possibile anche con un solo mandato).

Il nuovo metodo di calcolo

Sotto l’incalzare della protesta popolare contro i costi della politica e i privilegi della casta, nel 2012 il Consiglio regionale inserì nella Finanziaria un articolo che, pur modificando la legge del 1995 istitutiva del vitalizio, lo mantenne tuttavia in vita introducendo un nuovo metodo di calcolo basato sul sistema contributivo, che comporta un dimagrimento del suo ammontare fino a portarlo al 50-60 per cento dell’importo precedente. Ma tutto ciò – come detto – a partire dal 2018. Di abolizione (per quanto da più parti vagamente auspicata) neppure parlare. In attesa di prossime iniziative legislative.

Attualmente sui banchi del Consiglio convivono pertanto figli e figliastri: tra i primi i consiglieri che vi hanno messo piede prima e fino al 2013, per i quali continuerà a valere – vita natural durante – la normativa del 1995 (pensioni tra 2 mila e 6 mila 500 euro mensili lordi); tra i secondi gli esordienti eletti nell’aprile scorso, i quali sono sottoposti al nuovo regime e, per quanto “azzoppati”, beneficeranno, appunto dal 2018, all’atto della maturazione, dell’aborrito (ma redditizio) istituto.

Recita infatti il comma 3) dell’articolo 17 della Finanziaria 2012: «per i consiglieri e gli assessori in carica... continua ad applicarsi la vigente disciplina, mantenendo gli stessi i diritti acquisiti...». Ecco il grimaldello salvifico. Ecco la ragione per cui, nonostante i forti richiami della Corte dei Conti, il sistema resiste ed è così ben congegnato che da qui al 2018 non solo non comporterà alcun contenimento della spesa per vitalizi, ma piuttosto la farà lievitare.

È sostanzialmente una situazione di stallo. Un cul de sac. È stata creata dal sistema politico una robusta rete di protezione legislativa che rende difficoltoso, di dubbia efficacia e comunque con effetti procrastinati nel lungo periodo, qualsiasi tipo di intervento modificativo o abrogativo.

Si potrebbe arrivare al paradosso che, quand’anche il Consiglio abolisse i vitalizi, questi continuerebbero a essere erogati regolarmente agli ex consiglieri che hanno esercitato il mandato fino al 2013, in virtù dei diritti acquisiti, così come decorerebbero, a partire dal 2018, nella entità e all’età previste dal nuovo sistema contributivo, anche a favore degli attuali 49 consiglieri eletti in aprile, i quali potranno legittimamente rivendicare l’applicazione della normativa vigente all’atto della loro nomina a consiglieri regionali. Sempre per effetto degli ineluttabili diritti acquisiti.

Sarà interessante vedere (al di là delle scontate e inevitabili resistente corporative) come la Giunta Serracchiani affronterà dal punto di vista giuridico, prima ancora che politico, lo spinoso problema.

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