“Ribaltata” la sentenza: deve rendere 116 mila euro

Porcia, la Cassazione riforma il verdetto per una vicenda di espropri a Palse. «Solo il Tar era competente, nulli tutti i giudizi dei tribunali ordinari»
FOTO MISSINATO PORDENONE 15.01.04 FOTO VEDUTA DEL COMUNE DI PORCIA.
FOTO MISSINATO PORDENONE 15.01.04 FOTO VEDUTA DEL COMUNE DI PORCIA.

PORCIA. Clamoroso ribaltamento di fronte nella vertenza che da sette anni vede contrapposti il Comune di Porcia e una cittadina di Palse. Oggetto del contendere giudiziario un esproprio effettuato per consentire l’esecuzione dei lavori nella piazza della località purliliese.

A cambiare le sorti di una vicenda che, sinora, aveva visto l’ente locale soccombere, è la Corte di Cassazione, con una sentenza che, di fatto, impone alla ricorrente Lidiana Biscontin la restituzione alle casse pubbliche delle somme ricevute (circa 116 mila euro).

La storia risale al 1999. In quell’anno il Comune approvava il progetto di riqualificazione del piazzale della chiesa e di via don Bosco a Palse, intervento che prevedeva l’esproprio di un fondo appartenente alla signora Biscontin.

Il valore del terreno veniva stimato in circa 20 mila euro: troppo pochi, secondo la cittadina, che nel 2006 proponeva un ricorso alla Corte d’appello di Trieste, chiedendo la rivalutazione del valore dell’esproprio, secondo lei superiore ai 200 mila euro.

Il Comune di Porcia si difendeva, assistito dall’avvocato Mattia Matarazzo, specialista in diritto amministrativo. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile nel 2007 ma, nello stesso anno, la proprietaria si rivolgeva al Tribunale ordinario di Pordenone per ottenere il risarcimento del presunto danno subito a causa dell’esproprio, a suo dire illegittimo perché compiuto in violazione del termine di inizio dei lavori.

Anche in questo caso il Comune si difendeva, eccependo innanzitutto l’incompetenza del Tribunale ordinario a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento, e in secondo luogo l’insussistenza della violazione contestata. Nel 2008 il Tribunale respingeva la tesi del Comune sull’incompetenza.

L’ente locale si rivolgeva dunque (senza successo) alla Corte d’appello di Trieste e, infine, portava le sue ragioni davanti alla Cassazione.

Nel frattempo, tuttavia, il Tribunale di Pordenone lo condannava a pagare 116 mila euro alla signora Biscontin: anche in questo caso la vicenda arrivava sino in Cassazione. Per evitare eventuali aumenti di spese e interessi legali, l’allora amministrazione Turchet disponeva il versamento della quota alla cittadina di Palse.

Pochi giorni fa, l’inatteso “colpo di scena”: la Suprema Corte ha riconosciuto da un lato che la competenza sulla questione spetta al Tribunale amministrativo regionale – azzerando di fatto l’efficacia dei pronunciamenti del tribunale ordinario –, dall’altro che il Comune di Porcia non ha violato alcun termine di legge sull’inizio lavori.

A questo punto, la signora Biscontin potrebbe riproporre ai giudici amministrativi triestini la sua domanda di risarcimento danni, ma non sarebbe facile ottenere ragione, visto che la Corte ha ormai chiarito che il Comune ha rispettato tutti i termini essenziali della procedura di esproprio.

«Era ora – commenta la vicenda l’avvocato Matarazzo –. È inaccettabile aspettare sette anni e dover passare attraverso quattro gradi giudizi negativi per vedersi riconosciuto un buon diritto che esisteva fin dall’inizio. Ma alla fine è stato chiarito chi aveva ragione.

La vicenda ha provocato molte malignità, anche politiche, rivelatesi tutte infondate. Ora molte persone, non solo estranee al Comune di Porcia, mi devono delle scuse».

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