Riforme e stipendi più alti per medici e infermieri: il piano presentato dalle Regioni al Governo
Presentato al Governo il programma per la nuova fase del sistema salute dopo la pandemia. I territori puntano a consentire ai professionisti del comparto maggiori possibilità di impiego
UDINE, Un programma di una quarantina di pagine senza alcun colore politico, considerato come è stato approvato dagli assessori alla Salute e presidenti di tutte le Regioni italiane, consegnato al Governo per chiedere a palazzo Chigi di risolvere le croniche problematiche legate al personale sanitario e rilanciare il sistema-salute pubblico dopo il Covid con l’obiettivo, primario, di recuperare le prestazioni sanitarie non erogate a causa della pandemia.
Parliamo, nel dettaglio, del “Documento programmatico sui fabbisogni del personale sanitario” elaborato dalla Conferenza delle Regioni e indirizzato a palazzo Chigi per superare quelli che Riccardo Riccardi chiama sempre «i colli di bottiglia» in sanità e che si basa, essenzialmente, su tre architravi: retribuzioni, riforme e Atenei.
Il ruolo delle università
Nell’ottica di potenziamento del personale in servizio, nel lungo periodo le Regioni sottolineano la necessità «di aumentare la capacità formativa degli Atenei, con riferimento sia ai corsi di laurea delle professioni sanitarie che alle scuole di specializzazione per cui si manifestano le maggiori carenze, recependo in un processo di costante e stretto confronto con le Regioni la programmazione dei fabbisogni di personale sul medio lungo periodo, che deve tener conto del turn over, degli standard di servizio e dei nuovi obiettivi di salute». Il tutto tenendo in considerazione la possibilità di «valutare strumenti per trattenere in regione, oppure in Italia, i professionisti formati», ad esempio vincolando le borse di studio alla permanenza in servizio per almeno un determinato periodo di tempo.
Nuove proposte
Al di là della richiesta di procedere a confermare alcune deroghe nate in pandemia – come gli strumenti emergenziali utilizzati per il contact tracing – è interessante entrare nel dettaglio delle iniziative chieste espressamente al Governo per modificare lo status quo.
La prima porta alla possibilità di aumentare le ore rese dal personale in servizio applicando «in via ordinaria tariffe adeguate per l’acquisto di tutte le prestazioni aggiuntive, indipendentemente dalla finalità, rispettivamente nei confronti del personale sanitario del comparto e della dirigenza dell’area sanità».
Secondo gli assessori, quindi, va eliminato «l’obbligo di esclusività per il personale infermieristico per consentire un utilizzo sinergico» dello stesso «in relazione ai fabbisogni sia delle Aziende sanitarie che di altre istituzioni quali ad esempio le Rsa». Quanto alla permeabilità delle carriere, andando oltre, si richiede la possibilità «per i dirigenti medici del Sistema sanitario con rapporto di lavoro esclusivo di accedere al rapporto di lavoro convenzionato al di fuori dell’orario di lavoro» e con «la medesima disciplina prevista dagli accordi vigenti per la medicina generale».
Stipendi del personale
Fondamentale è anche la richiesta di intervenire a livello di retribuzioni. Le Regioni, ad esempio, chiedono di poter decidere aumenti del «trattamento accessorio del personale dipendente oltre il limite previsto» e la chance di destinare «alla contrattazione integrativa risorse aggiuntive, nel limite del 2%, del monte salari-regionale», così come «integrare in autonomia la quota accessoria del trattamento retributivo del personale».
E se va considerato anche il riconoscimento «di indennità specifiche, anche diverse da quella di pronto soccorso, quali anestesia e rianimazione, ostetricia, pediatria e altro» al fine di «evitare la fuga dei medici verso il privato o attività libero professionale», deve esserci anche la possibilità di «assunzioni di personale in quiescenza» così come le facilitazioni per «coloro che hanno un titolo straniero non riconosciuto».
Medicina generale e in convenzione
In relazione al ruolo della medicina di base e convenzionata, la prima e fondamentale richiesta è quella di semplificare l’assegnazione degli incarichi ad esempio aumentando la «frequenza della pubblicazione delle zone carenti», bypassare la procedura in caso di «acclarata emergenza» senza dimenticare la possibilità di «prevedere forme di “penalizzazione” nelle assegnazioni successive ad accettazioni precedenti risolte in una rinuncia di apertura dello studio da parte del medico».
E se va «equiparato il trattamento economico dei medici provvisori» a quello dei camici bianchi «a tempo indeterminato» bisogna anche pensare a un sistema di «agevolazioni logistiche ed economiche» pure «in collaborazione con i Comuni» promuovendo la copertura «delle zone identificate dalle Regioni come disagiate o disagiatissime» attraverso un «adeguato compenso accessorio annuo».
Vanno poi «incentivate medicine di gruppo e di rete vincolandole a piani di copertura territoriale e alla partecipazione attiva nelle Case della Comunità e nei programmi di presa in carico di specifici target di popolazione definiti nei piani aziendali/regionali».
Nelle more «del passaggio alla dipendenza» si deve «prevedere che le Regioni possano individuare adeguate forme di integrazione dei medici convenzionati addetti all’emergenza sanitaria territoriale con attività dei servizi del sistema di emergenza-urgenza secondo criteri di flessibilità operativa, incluse forme di mobilità interaziendale».
Quanto alla formazione dei medici si può citare, a titolo esemplificativo, la possibilità di consentire agli specializzandi in pediatria «di assumere incarichi convenzionali a partire dal terzo anno», per quelli in medicina generale prevedere «massimali di scelta fino a 1000 pazienti per la prima annualità di corso e 1.500 per quelle successive», così come facilitare le forme di tirocinio, sia nei Distretti sia negli ospedali, e prevedere che i medici in formazione possano «svolgere attività libero-professionali, purchè al di fuori degli obblighi formativi».
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