Ripartono le discoteche, il papà del Ceghedaccio: «Non vediamo l’ora di tornare a ballare, speravamo bastasse solo il green pass»

L’ultima serata al padiglione 6 della Fiera di Udine risale infatti al 18 ottobre 2019: Renato e il figlio Carlo, che da qualche anno lo affianca nell’organizzazione, si sono segnati la data
Riccardo De Toma

Messa giù in numeri di tratta di tremila persone due volte all’anno, con un giro d’affari che non è solo fatto di biglietti, ma che coinvolge fornitori, bar, ristoranti, negozi di abbigliamento. Ma mister Ceghedaccio, al secolo Renato Pontoni, preferisce parlare di emozioni.

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Quelle che il suo pubblico attende invano da due anni. L’ultima serata al padiglione 6 della Fiera di Udine risale infatti al 18 ottobre 2019: Renato e il figlio Carlo, che da qualche anno lo affianca nell’organizzazione, si sono segnati la data. E per il vero se n’erano segnata un’altra, il 22 ottobre 2021, per la grande rentrée in quello che i due Pontoni («e non solo noi», assicurano) chiamano PalaCeghedaccio. Non sarà così, e non solo per una questione di tempi: «Con il tetto al 35% – sostengono – sarebbe stato semplicemente improponibile; con il 50% vedremo...».

Provando a mettersi dall’altra parte della barricata, però, mettere un tetto a numeri del genere non pare così assurdo…

«Stiamo parlando di spazi enormi, non solo interni ma anche esterni al padiglione. E di un pubblico che è sempre stato esemplare: ci siamo da 27 anni e non c’è mai stata una rissa. Vengono per divertirsi, sul fatto che rispettino le regole metto la mano sul fuoco».

Speravate bastasse il Green pass?

«Francamente sì, dopo due anni si stop forzato e poco o nulla in cambio. Con il 35% non avrebbe avuto senso, qui ci sono migliaia di persone che aspettano, in attesa di risposte dal nostro sito e dai social. Non solo da tutta la regione, ma anche dal Veneto, dall’Austria, dalla Slovenia».

Ma è proprio sicuro che arriverebbero in tanti? Negli stadi mezza capienza basta e avanza, i cinema sono semivuoti…

«La nostra gente non vede l’ora di tornare: c’è voglia di socialità vera, di contatto, di quel divertimento che solo la vecchia discomusic, quella vera, riesce a garantire. E il nostro modello non invecchia mai, anche se incominciamo all’ora dell’aperitivo, alle 8 di sera, a mezzanotte passiamo ai lenti, come nel Tempo delle mele, e all’una e mezza li mandiamo tutti a nanna».

Un pubblico di nostalgici?

«Non soltanto. Arrivano i nostalgici, i cinquantenni o i sessantenni, le coppie che magari si sono conosciute proprio ballando Born to be alive, Falco o Donna Summer, e arrivano pure i loro figli, che la prima volta vengono per curiosità, qualcuno per prendere un po’ in giro mamma e papà, ma poi immancabilmente tornano. Se non fosse così, del resto, non saremmo in pista da quasi trent’anni. E poi ce l’attesa, l’organizzazione della trasferta, che per qualcuno comincia addirittura due mesi prima. C’è un gruppone di Trieste che arriva addirittura con due corriere. Gente di tutte le estrazioni, per una festa davvero senza barriere e che credo unisca come poche altre».

Ce la faranno i nostri eroi?

«Noi siamo pronti: ne abbiamo bisogno noi, che siamo fermi da due anni, ne ha bisogno la gente, che è affamata di emozioni. A mancarci, lo giuro, sono soprattutto quelle».

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