Riso con il marchio Friuli e arriva la birra “Mandi”

Le innovazioni di Domenico Fraccaroli nelle campagne di Pocenia. Iscrivetevi qui a NoiMV - Le nostre newsletter - Gli eventi

Le grandi trasformazioni dell’agricoltura si misurano anche nelle risaie. Sta lì la frontiera contadina dell’innovazione. Ormai è soltanto un ricordo il lavoro massacrante delle mondine, che è entrato nell’immaginario collettivo grazie alla splendida interpretazione di Silvana Mangano nel film Riso Amaro. Era l’epoca del bianco e nero e del realismo cinematografico. Tempi vecchi, già archiviati. Le lotte delle lavoratrici, senza diritti, contro lo sfruttamento nelle campagne attorno a Vercelli e Novara, rivoluzionarono i mestieri.

Anzi, la meccanizzazione ha cancellato per sempre l’occupazione stagionale, prevalentemente femminile, utilizzata per estirpare le erbacce infestanti e raccogliere i prodotti. Che c’entra il Friuli, ci si potrà chiedere, con quel tipo di coltivazione? Il riso è ricomparso da qualche anno nel cuore della Bassa Friulana, in località Paradiso di Pocenia, a una trentina di chilometri da Udine. La sua presenza ha ridisegnato il paesaggio rurale dominato da pioppeti, mais e vigneti. La zona è ricca di risorgive, le quali assicurano l’acqua alle risaie.

LE RADICI AZIENDALI 

La coltivazione è stata reintrodotta nel 2012 dalla famiglia Fraccaroli, di origini veronesi, da quattro generazioni impegnata in agricoltura. Si tratta di una storia ultracentenaria, testimoniata dai protagonisti tra contratti di mezzadria e visioni improntate a spirito d’azienda. Fu Domenico, attorno alla metà degli anni ’50, a ingolosirsi della tenuta dei nobili Caratti, estesa in tutti i suoi 175 ettari, appena al di là della strada Napoleonica, verso il mare. A lui piaceva tutto di quel luogo friulano: la posizione tranquilla, l’abbondanza idrica, alcuni campi già redditizi, la villa padronale ottocentesca che spicca ancora oggi imperiosa nel mezzo della proprietà. Il prezzo era vantaggioso rispetto a molti altri appezzamenti visionati in Veneto, anche se l’area aveva bisogno di opere di bonifica e della riorganizzazione del patrimonio un po’ troppo frammentato, con boschi in avanzamento disordinato ed edifici sparsi tra i campi.

Una stretta di mano e via, come si usava a quei tempi: Domenico Fraccaroli acquistò tutto quel bendidio. Non si perse d’animo e con capacità imprenditoriale diede “un senso” alle attività. Così l’azienda si caratterizzò per l’allevamento del baco da seta, la coltivazione del tabacco e di cereali un po’ di tutte le varietà, una buona vigna con un’ampia cantina. Successivamente, della proprietà si occupò il figlio Tiziano, cresciuto a pane, polenta e rischio d’impresa. Introdusse altre innovazioni legate soprattutto al vino. Poi, quest’ultimo trasmise la stessa passione per la terra ai quattro figli.

L’idea del riso è il frutto dell’inventiva dell’ultima generazione, in particolare di Domenico, trentottenne, che del nonno ha preso un po’ tutto: amore per i campi, fiuto imprenditoriale e persino il nome di battesimo. Lui ha scelto il ramo d’impresa friulano. Vive infatti da anni, con la moglie canadese, nella Villa Caratti, in parte adibita anche ad agriturismo come sintesi di un’attività diversificata nelle campagne di Pocenia. «Il Friuli mi ha subito adottato – spiega – e io sono ormai figlio di queste terre. La mia identità è qui». L’altra parte della famiglia è rimasta a gestire il pezzo d’azienda veronese: il fratello Luca segue la parte commerciale, la sorella Maria si occupa dell’amministrazione, mentre la sorella Laura ha preferito invece l’architettura come professione.

IL RISO MADE IN FRIULI

È stato Domenico junior, fresco di laurea in Agraria all’Università di Udine, a puntare sull’avvio di una risaia di 16 ettari. «Ero rimasto folgorato da quella coltivazione specifica – racconta con un pizzico d’orgoglio – durante una visita scolastica in campagna, negli anni in cui frequentavo l’istituto agrario a Verona, che è la mia città natale. Sono rimasto incantato dalla bellezza del paesaggio, dal verde intenso delle risaie, dall’acqua che le sommergeva, dalla spiga che caratterizzava quel tipo di cereale.

Per lungo tempo ho pensato al riso, approfondendo le conoscenze sulla sua coltivazione, fino a sviluppare ricerche agronomiche e sperimentazioni avviate nel periodo universitario. Il terreno che avevo visto nel Veneto era molto simile a quello che la mia famiglia curava in Friuli, in località Paradiso, il cui nome mi colpiva ogni volta che venivo a passare le vacanze estive: un Paradiso! Del riso sapevo ormai tutto. Non restava che avviare la produzione. Non è stato facile, perché, quando ho preso le redini dell’azienda, il settore agricolo non era ben messo. La crisi però spesso favorisce l’innovazione e il riso era una novità.

Per fortuna ho potuto contare sull’incoraggiamento di papà, un imprenditore capace di uscire dai vecchi schemi. È perdente chi fa sempre le stesse cose». Eccoci alla risaia di Pocenia, l’unica del Friuli. Il figlio Domenico è stato accompagnato dal padre in giro per l’Italia del Nord a osservare i terreni e a imparare le tecniche. Hanno masticato insieme i termini usati nel settore, quelli che scandiscono i cicli della produzione: dalla preparazione del terreno all’aratura; dalla semina, che avviene attorno alla metà di aprile, alla sommersione attraverso l’allagamento della risaia, perché l’acqua è “la culla” del riso con funzioni termoregolatrici; dal raccolto, nella prima decade di ottobre, all’essiccazione; dalla lavorazione, che riassume numerose fasi delicate, alla vendita con una robusta iniezione di marketing.

Le operazioni non sono semplici, soprattutto quelle legate alla cosiddetta pilatura, che consiste nella pulitura dei chicchi, nella loro sbramatura e sbiancatura. In pratica, si tratta della trasformazione del riso grezzo (o risone) nel prodotto finale, pronto per l’uso. L’azienda di Pocenia, affida la gestione di quest’ultima fase a una ditta di Nogarole Rocca, in provincia di Verona. A conclusione del trattamento, il riso perde un buon 40 per cento del suo peso. Non basta avere un terreno che prometta buoni risultati, servono esperienza e innovazione. «Lavorando su numeri piccoli – spiega Domenico Fraccaroli – è necessario avere il controllo di tutta la filiera: dai campi alla tavola. Altrimenti non ci sarebbe competizione, perché la concorrenza ci mangerebbe in un boccone. Così invece controlliamo il sistema che determina i prezzi».

Oggi gran parte del lavoro è meccanizzato: le risaie richiedono pochissima manodopera. L’azienda di Pocenia ha cinque dipendenti, ma la loro attività nel corso dell’anno riguarda l’intera catena produttiva, compresa la gestione di 40 ettari di vigneto: 80 mila bottiglie all’anno, tra bianchi, rossi e spumanti.

LE SFIDE DEL MERCATO
Nel passato, qualche tentativo di coltivazione del riso nella nostra regione c’era già stato, ma poca roba. Oggi invece un pezzo di Friuli è mescolato dentro molti risotti di casa nostra. In generale, è l’Italia che tiene botta conservando il primato della produzione europea (un buon 50 per cento), oltre a quello della consumazione (all’incirca 8 chili e mezzo pro capite all’anno). Piemonte e Lombardia fanno la parte del leone. Il nostro Paese cerca di stare a galla, con qualità e controlli, sui mercati che sono dominati dal riso asiatico (90 per cento della produzione mondiale). «Scriva pure che la concorrenza sleale scassa il sistema dei prezzi. Siamo invasi – avverte con amarezza il produttore di Pocenia – da vari tipi di riso, senza certificazioni sanitarie di garanzia, con provenienza da Paesi che sfruttano il lavoro abbattendo drasticamente i costi e utilizzano antiparassitari dannosi per la salute. Così è dura poter resistere». L’Italia ha la sua etica: controlla scrupolosamente i suoi prodotti, gli altri no. E valorizza le biodiversità, gli altri se ne fregano. La tracciabilità è una garanzia nel nostro Paese, segno di serietà del made in Italy.

Figlia di questi metodi, che tutelano i consumatori, è anche la risaia di Pocenia, la quale produce sotto il marchio Domenico Fraccaroli, con tanto di “cuore friulano” impresso nelle confezioni. La quantità supera i 500 quintali annui, collocati soprattutto sul mercato locale. Ma ci sono teneri germogli di un export europeo verso Danimarca e Svizzera. La scelta riguarda un’unica varietà di riso: il Vialone Nano, che è un ibrido del Vialone (di origine vercellese) incrociato con il Nano (veronese). Le dimensioni del chicco sono un po’ ridotte rispetto alla media, ma il risultato finale assicura un’ottima mantecatura che permette l’assorbimento dei condimenti con la garanzia di una cottura al dente.

ORA LA BIRRA DI RISO
Domenico Fraccaroli parla volentieri del Friuli. E’ un torrente in piena quando deve spiegare le idee che valorizzano la sua terra. È sufficiente ricordare che il marchio della sua birra, prodotta artigianalmente mescolando riso e malto d’orzo, è un bel Mandi scritto in corsivo sulla bottiglia e accompagnato dalla figura di un airone in volo (che è un uccello caratteristico delle risaie). Si tratta di una produzione di nicchia: 50 ettolitri l’anno, collocati sul mercato esclusivamente locale. L’essere friulano è una filosofia di vita «contro il relativismo culturale», come lo definisce lui. «È forte il bisogno di valori autentici – spiega – come quelli che soltanto la terra può darci ancora: radici e identità per resistere allo spaesamento. L’alimentazione vive di questi elementi, perché il cibo è una cosa intima. Le persone hanno bisogno di sapere che cosa mangiano e vogliono conoscere ogni particolare del prodotto acquistato. Ecco perché il legame con il territorio è un valore aggiunto».
 

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