Ristoranti, negozi e bar in difficoltà dopo il lockdown: il 28 per cento teme di dover chiudere

La Confcommercio: fatturato in calo nel 60% delle realtà Imprenditori preoccupati di non riuscire a pagare i fornitori
Shopkeepers and restaurateurs prepare for the reopening on 18 May 2020 during the Covid-19 Coronavirus' emergency Phase 2 in Milan, Italy, 17 May 2020. Several countries around the world have started to ease COVID-19 lockdown restrictions in an effort to restart their economies and help people in their daily routines after the outbreak of coronavirus pandemic. ANSA/MATTEO CORNER
Shopkeepers and restaurateurs prepare for the reopening on 18 May 2020 during the Covid-19 Coronavirus' emergency Phase 2 in Milan, Italy, 17 May 2020. Several countries around the world have started to ease COVID-19 lockdown restrictions in an effort to restart their economies and help people in their daily routines after the outbreak of coronavirus pandemic. ANSA/MATTEO CORNER

UDINE. Alzate le serrande bar, ristoranti e negozi stanno facendo i conti con i numeri dei coperti e degli scontrini che non sono gli stessi di prima del lockdown. Nel 28 per cento dei casi, commercianti e baristi, in assenza di un miglioramento della situazione si preparano a chiudere e questa volta sarà per sempre.

Non se la sentono di richiedere un prestito (50%), temono di non riuscire a pagare i fornitori (40%) né di sostenere le spese fisse (43%).



I sondaggisti della Swg di Trieste per conto della Confcommercio, tra il 19 e il 21 e il 26 e il 28 maggio, hanno contattato 650 titolari di attività con una media di nove addetti alle loro dipendenze. L’82 per cento ha riaperto, ma il 28 per cento rileva che gli incassi non sono quelli di prima.

Tra le attività che hanno aperto prevalgono i negozi di abbigliamento (94%), mentre tra i bar e i ristoranti la percentuale scende al 73%.



Questi dati non sono interpretabili a senso unico. «È favorevole la circostanza che le aperture crescano dalla prima alla seconda settimana, periodo nel quale parte di coloro che nella prima indagine hanno dichiarato di essere in procinto di riaprire effettivamente lo hanno fatto» scrivono i sondaggisti, valutando negativamente il fatto che «il 18% delle imprese che potevano riaprire non l’abbia ancora fatto.

Questa percentuale sale al 27% nell’area bar e ristoranti, un dato che testimonia una conclamata patologia da cui non siamo affatto usciti». Viene confermato, insomma, il temuto calo dei consumi fuori casa.

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La mancata riapertura

La mancata ripresa delle attività è legata all’applicazione dei protocolli di sicurezza sanitaria. Le norme troppo stringenti soprattutto per chi gestisce locali piccoli ha indotto baristi e ristoratori a non riaprire.

I sondaggisti hanno articolato in due settimane per verificare anche il grado di difficoltà riscontrato nell’applicazione del distanziamento sociale che ha implicato una diversa organizzazione degli spazi. In effetti, rispetto alla prima settimana, qualche problema aggiuntivo sta emergendo a seguito di una «comprensibile sottovalutazione di alcune difficoltà».

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Il giro d’affari

Le maggiori difficoltà sono legate alla sensibile riduzione del giro d’affari che, sulla base delle presenze registrate nelle prime settimane di apertura, i commercianti e i titolari dei pubblici esercizi stimano di registrare a fine anno.

«Il 68% del campione di imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, quando già le aspettative stesse erano piuttosto basse» scrivono i sondaggisti stimando, rispetto ai periodi “normali”, le perdite di ricavo per oltre il 60 per cento del campione superiore al 50 per cento, con un’accentuazione dei giudizi negativi nell’area dei bar e della ristorazione.

È questo il dato più monitorato in questo momento per misurare la vitalità del tessuto produttivo. Viene monitorato sia per quanto riguarda le riaperture sapendo che presto verrà preso a riferimento anche per le possibili chiusure.

L’insufficiente redditività, infatti, potrebbe spingere molti a riabbassare le serrande. Il 44 per cento delle attività ha già usufruito degli aiuti, mentre la Cassa integrazione appare sottoutilizzata. Rarefatto appare anche il ricorso ad altri prestiti.

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«Le imprese di minori dimensioni – fanno notare i sondaggisti – avendo perso per oltre 2 mesi quasi il 100 per cento del fatturato non hanno convenienza a contrarre ulteriori prestiti i quali andrebbero ripagati con un reddito futuro la cui formazione appare oggi molto incerta».

Gli analisti continuano a osservare l’andamento economico e produttivo sapendo che uno dei settori più colpiti è quello del turismo. «Le sfide per la sopravvivenza – concludono i sondaggisti – si combatteranno nei prossimi mesi».

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