«Rockefeller senza voce accettò la golia»

L'anniversario del terremoto del 1976. I ricordi dell’architetto Pischiutti, ex direttore della divisione tecnica a palazzo Belgrado

Ricordare quanto intensi furono i giorni della prima emergenza non è facile: non sempre le memorie rileggono i fatti realmente vissuti. In questo racconto quindi ci sarà pure qualche imprecisione ma il “nobile” gesto che ho fatto corrisponde al vero.

Era i 13 maggio (la certezza che questa fosse la data l’ho avuta di recente quando ho visto una fotografia con un calendario bene in vista) e in quel giorno si verificò un fatto che non potrò mai dimenticare. Niente di drammatico, anzi.

Andavo al lavoro, negli uffici della Provincia di Udine, e come tutti i dipendenti utilizzavo un ingresso riservato. Mi accorsi ben presto che quella mattina nell’atrio principale c’era un grande, insolito fermento: tanti giornalisti (ne vedevamo ogni giorno qualcuno ma vederne tanti tutti assieme non era certo usuale), tante persone della forza pubblica, tanti aitanti giovanotti (che seppi poi essere le guardie del corpo venute dall’America), con un filo che pendeva dalle orecchie (gli auricolari, che nessuno di noi aveva mai visto prima).

Fra i giornalisti vidi un amico, Gian Maria Cojutti, che mi rivelò il motivo del grande affollamento e fermento: era atteso il vicepresidente degli Stati Uniti d’America, Nelson Rockefeller. Il presidente degli Usa, Gerald Ford, forse sulla spinta dei fogolârs friulani e di fronte ai tanti lutti e danni che aveva prodotto il terremoto nel Friuli, ordinò che venisse prestato un soccorso immediato e consistente al popolo friulano e inviò a Udine il vicepresidente per capire come e dove intervenire.

L’incontro in Provincia con il presidente, l’avvocato Vinicio Turello, la mattina del 13 maggio (una settimana dopo le scosse) aveva proprio questo scopo. Mi pare (ma su questo punto i ricordi sono sbiaditi) che la delegazione che accompagnava Rockefeller alloggiasse in via Pozzuolo e che la moglie del vicepresidente sia stata accompagnata a visitare la città da alcune dirigenti donne della Provincia.

A un certo punto della mattina l’avvocato Turello mi mandò a chiamare: nell’ufficio di rappresentanza della Provincia si stava discutendo come organizzare gli aiuti americani.

Dai discorsi che si stavano facendo, capii che gli americani erano orientati a costruire delle scuole (e la Provincia aveva la competenza a costruire gli edifici scolastici e a fornire gli arredi) ma non conoscevano la normativa.

Nell’ufficio del presidente Turello c’erano poche persone e io mi sedetti fra loro. C’era anche un ingegnere (che più tardi ebbi modo di conoscere bene), Roberto Einaudi, italo-americano, che grazie alla familiarità con la lingua italiana faceva da interprete e si informava sulle procedure da seguire.

Quando Nelson Rockefeller volle parlare ebbe difficoltà a farlo per un fastidioso pizzicore di gola che, malgrado cercasse di eliminare inghiottendo saliva, non gli permetteva di farsi sentire.

Io, che porto sempre in tasca le caramelle gommose alla liquirizia, gliene allungai un paio ma mi accorsi che il mio gesto e la mia offerta, nel tutto spontanee e innocenti lo sorpresero. Con il senno di poi compresi che una persona tanto importante non accetta da uno sconosciuto qualcosa da mettere in bocca.

Ma in quella occasione, mentre la difficoltà di eloquio continuava, rifeci la innocente offerta di una “golia”. Rockefeller guardò Turello, Turello gli fece un gesto di assenso con la testa e finalmente il vicepresidente degli Stati Uniti d’America prese la mia caramellina.

Questa fece bene il suo dovere e dopo un paio di secondi la voce ritornò forte e chiara a Rockefeller che mi disse: “Thank you”. Insomma, credo di essere una delle poche persone che possono dire di aver dato una caramella alla persona più ricca del mondo.

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