Romano, il re della meringata non sa cosa sia la pensione

Tradizione è anche essere gentili con il cliente. Anche con un elegante corsivo, nella confezione: «Si ringrazia per la fiducia accordata». Una scritta, quella che spunta sul vassoio di crostoli e frittelle appena sfornati, che spiega la filosofia della pasticceria Boaro: semplicità, lavoro, profumo di buono, profumo di casa. Tradizione, appunto. Ma è anche il passaparola tra i clienti che vince sui più moderni hashtag.
Quarantacinque anni compiuti pochi mesi fa, in via Tito Livio a Feletto Umberto, per la realtà portata avanti dal capofamiglia Romano Boaro, dalla moglie Teresa, dalle figlie Arianna e Debora e da altri cinque dipendenti. Ma le radici della storica attività sono più profonde e lontane: affondano in quasi 150 anni di storia. «Tutto è cominciato da mio nonno, che faceva il fornaio, in via dei Martiri – racconta Romano, 77 anni –, poi è stata la volta di mio padre Giuseppe, che con mia mamma ha aperto un panificio che era anche pasticceria e gelateria».
I genitori gli hanno insegnato il mestiere. «Ma fare il fornaio non mi piaceva, però sono riuscito a fondare la Sipan, Società industriale di panificazione: 50 dipendenti per 60 quintali di pane al giorno». Quando l’avventura si è conclusa, Romano ha aperto una gelateria in viale Tricesimo, vicino a Moroso, per poi puntare tutto sull’edificio di via Tito Livio. «Il laboratorio è nato nel settembre del 1973 – ricorda –. Facevamo il gelato per il Boschetti, per il Contarena, per il Delser».
Un successo cresciuto piano piano, anche grazie ai viaggi all’estero. Il re della meringata, così lo chiamano in molti, resta umile, ma è conosciuto ovunque e non solo per il dolce dal sapore di zucchero. È stato lui il primo a realizzare la torta quadrata a piani («me l’aveva chiesta una contessa di Trieste, un regalo per sua figlia»), il suo cavallo di battaglia è la Sacher. Romano è un riferimento per chi lavora nel laboratorio. Anche per le figlie. «Cerco di insegnare quello che so perché sono loro che dovranno prendere in mano l’azienda. Ma sono brave», ammette. L’attaccamento alla sua creatura è viscerale. «Abito nell’appartamento qui sopra, vengo a lavorare ogni giorno. La pensione? Che vuol dire pensione?».
La passione per il mestiere è anche nel Dna di Arianna e Debora. «Il papà è un maestro dal carattere forte, ci ha dato insegnamenti validi». —
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