Sacchetti biodegradabili a pagamento, tutto quello che c'è da sapere

Primo gennaio 2018. Nessuna deroga, nessun periodo di transizione. L'anno nuovo è iniziato con un'importante novità per i consumatori italiani: le buste in plastica leggera, quelle usate per la frutta e la verdura (ma anche carne, pesce, prodotti di gastronomia e panetteria) sono state sostituite da buste biodegradabili, compostabili e a pagamento.
Costeranno da un minimo di 2 centesimi a un massimo di 10. La novità ha preso molti in contropiede e ha scatenato un acceso dibattito sui social network: sacchietti bio sì o no? E tra le foto truffaldine di chi ha attaccato l'adesivo con il prezzo alla frutta e alla verdura (senza sapere che il pagamento della busta è legato al codice a barre dei prodotti di ortofrutta), si sono diffuse in rete notizie e convinzioni false sull'argomento. Qui una breve guida con tutto quello che c'è da sapere sui sacchetti biodegradabili a pagamento.
La direttiva europea
Nell'aprile del 2015 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva 2015/720 con lo scopo di ridurre l’uso di borse in plastica a favore di sacchetti realizzati in materiali biodegradabili e compostabili secondo lo scandard internazionale Uni En 13432: 2002. Come si legge sul sito d'informazione Valigia Blu, il legislatore ha previsto due opzioni per l'attuazione della direttiva, lasciando libertà di scelta ai singoli paesi:
1. Sacchetti limitati, ovvero l'adozione di misure che assicurano un utilizzo limitato di borse di plastica leggera per ciascun cittadino: entro il 2019 massimo 90 sacchetti cadauno, entro il 2025 massimo 40.
2. Sacchetti a pagamento, ovvero l'adozione di strumenti volti ad assicurare che, entro il 31 dicembre del 2018, le borse in plastica non siano fornite gratuitamente.

L'Italia per due anni ha ignorato tale direttiva e nel gennaio del 2017 la Commissione europea ha aperto cinque procedure di infrazione verso il nostro Paese. L'obbligo è stato introdotto solo lo scorso agosto con il considetto Dl Mezzogiorno (la legge 123/2017). Le misure puntano a ridurre proprio l'utilizzo di borse di plastica inquinanti vietando la commercializzazione di sacchetti di plastica con uno spessore superiore a 15 micron, prima gratuitamente disponibili nei supermercati. "A tal fine il prezzo di vendita deve risultare dallo scontrino".
In base alla legge italiana la riduzione avverrà in tre fasi:le buste dovranno essere realizzate con un contenuto di materia prima rinnovabile di almeno il 40%, che diventerà 50% dal primo gennaio 2020 e 60% dal primo gennaio 2021.
Il costo a famiglia è di 12 euro l'anno
Ma quali sono i prezzi applicati? Generalmente da 1 a 3 centesimi, secondo l’osservatorio messo in campo da Assobioplastiche. La prima ricognizione di mercato nella grande distribuzione mostra che Auchan, Conad, Coop Italia, Eurospar, Gruppo Gros e Iper hanno applicato un costo di 2 centesimi e da Lidl, Pam e Simply 3 centesimi. In alcuni negozi e farmacie il valore applicato è di un centesimo.
L’Osservatorio stima che il consumo di sacchi ortofrutta e buste per secondo imballo di carne, pesce, gastronomia, panetteria si aggiri complessivamente, a livello nazionale, tra i 9 e i 10 miliardi di unità, per un consumo medio di ogni cittadino di 150 sacchi l’anno. Ipotizzando che il consumo rimanga su queste cifre, con i prezzi appena rilevati la spesa massima annuale sarebbe attestata a 4,5 euro l’anno per consumatore. Assobioplastiche cita i dati dell’analisi Gfk-Eurisko, secondo cui le famiglie italiane effettuano in media 139 spese anno nella grande distribuzione organizzata: «Ipotizzando che ogni spesa comporti l’utilizzo di tre sacchetti per frutta e verdura - sottolinea - il consumo annuo per famiglia dovrebbe attestarsi a 417 sacchetti per un costo compreso tra 4,17 e 12,51 euro (considerando un minimo rilevato di 0,01 euro e un massimo di 0,03 euro)».
«Queste prime indicazioni di prezzo ci confortano molto - spiega Marco Versari, presidente di Assobioplastiche - perchè testimoniano l’assenza di speculazioni o manovre ai danni del consumatori. I sacchetti sono utilizzabili per la raccolta della frazione organica dei rifiuti e quindi almeno la metà del costo sostenuto può essere detratto dalla spesa». Maggiori perplessità da parte delle associazioni dei consumatori mentre Legambiente ritiene la procedura doverosa a fronte dei danni dall’abbandono dei sacchetti.
In Europa infatti, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente, si stima un consumo annuo di 100 miliardi di sacchetti, «e una parte di questi finiscono in mare e sulle coste», ha ricordato Legambiente.
Udine e la biobusta: qui costa da 1 a 4 centesimi
Da due a quattro centesimi, ma c’è anche chi applica lo sconto – rimettendoci – e fa scendere il prezzo a un centesimo. È questo il costo del biosacchetto nei supermercati della città e della provincia udinese, a seguito dell’entrata in vigore, dal primo gennaio, della legge approvata alla Camera lo scorso 3 agosto in sede di conversione del decreto legge Mezzogiorno, che bandisce gli involucri di plastica al reparto ortofrutticolo.
Un coro unanime: non è giusto. «Ci mancava pure questa ora. Finiranno veramente per farci pagare anche l’aria che respiriamo». Sarà che si dovranno abituare, sarà che come sempre le novità portano con sé lamentele, sarà che di questa storia di un cent qua un caffè la non se ne può più, ma i consumatori, questa direttiva sui sacchetti bio per la frutta e la verdura, proprio non l’hanno ancora digerita.
Due o tre centesimi non cambieranno la vita, ma per chi vive con uno stipendio o una pensione risicata, a fine mese o a fine anno, possono fare la differenza, proprio perché si sommano a tanti altri cent, per questo e per quello.
A conti fatti, non se n’era nemmeno accorta Pauline, che vive a Pordenone ma ma è di origini inglesi. «Ce lo chiede l’Europa: e poi ci si domanda perché gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione europea», ha affermato. Chi è ancora abituato a conteggiare i costi della merce facendo la proporzione tra i centesimi di euro e le vecchie lire afferma perplesso. «Sono 20 vecchie lire per sacchetto»: così ha ragionato Grazia Piccin dopo il pagamento della spesa. «Se non dovessi pagare sarebbe meglio – ha aggiunto rassegnata –. È vero che si può riutilizzare per la raccolta del rifiuto umido, ma è piccolo per la dimensione del mio bidoncino. E poi non è trasparente e, una volta giunta alla cassa, non è facile per la cassiera capire cosa c’è dentro».
C’è chi ritiene che sarebbe stato meglio rincarare la merce di un centesimo, senza dove applicare un costo al sacchetto. «È una spesa affrontabile e l’affronteremo – ha affermato Maria Gabriella Perosa –, ma si poteva gestire diversamente: in questo modo, il costo del sacchetto è più antipatico». «Non lo trovo giusto», ha commentato Giovanni Vicenzotto. Ma c’è una voce fuori del coro: nel bar attiguo al supermarket c’è chi sostiene che è una questione di igiene e si producono meno rifiuti.
Domande e risposte
Abbiamo raccolto e risposto a tre delle domande più frequenti sul tema dei sacchetti biodegradabili, tra fake news e dubbi espressi da associazioni e cittadini.
1. Lo scontrino sul prodotto
Sui social sono molto condivise le foto in cui si vedono arance o noci non imbustate con sopra l'etichetta del prezzo. Ma se applichiamo il codice a barra sul singolo prodotto evitiamo di pagare il sacchetto? La risposta è no. Valigia Blu riporta la spiegazione di Maddalena Balacco su Pianeta Donna: "per legge e per comodità, la busta viene contata ogni qual volta si passa un codice a barre alimentare per alimenti sfusi sul lettore. Quindi se si comprano dieci arance e si producono dieci etichette, alla cassa verranno conteggiate dieci buste bio. La "resistenza all'etichetta" è quindi non solo sciocca ma anche poco producente.
2. I sacchetti da casa
Si possono portare i sacchetti da casa? E si possono riutilizzare le buste vecchie? A chiarire la situazione è il sottosegretario alla Salute, Giuseppe Ruocco: sarà possibile portare i sacchetti biodegradabili da casa ma solo se sono monouso. Secco no, invece, per il riutilizzo di buste già utilizzate: "Questa pratica - spiega Ruocco - determinerebbe il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni proiblematiche. Il titolare dell'esercizio commerciale ha la facoltà di verificare l'idoneità dei sacchetti.
WhatsApp, Messanger, Facebook, Twitter e altri social: qui è circolata (e si è diffusa in pochissime ore) la notizia priva di fondamento di un legame tra la legge sui sacchetti a pagamento e il "crescente potere del Pd". In particolare l'attenzione degli utenti social si è concentrata sul nome di Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, l'azienda italiana delle shopper bio. Bastioli viene accostata a Matteo Renzi per aver partecipato come oratrice alla Leopolda del 2011. La Novamont, però, opera in Italia insieme ad altre 150 aziende e non detiene quindi alcun monopolio. Su Repubblica il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani, conferma l'infondatezza delle accuse. Stessa cosa fa il segretario democratico con un lungo post su Facebook.

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