Sacilese, la storia di una vecchia signora caduta in disgrazia

L’età dell’oro è soltanto un ricordo, futuro pieno di incertezze
FOTO MISSINATO - SACILESE
FOTO MISSINATO - SACILESE

SACILE. Una signora immune al tempo. Nonostante quei 90 anni passati e l’avvicinarsi (2020) del centenario. Ma di colpo ecco spuntare le rughe, di recente divenute veri e propri solchi. Metafora di una Sacilese calcio che d’un tratto si è trasformata da società modello a oggetto conteso, probabilmente in un’aula di tribunale, e dal futuro incerto.

Storia. Dopo il ritorno in serie D avvenuto nel 2003, grazie alla coppia di Gianni, Tortolo in panchina e Camatta direttore sportivo, la prima svolta della storia recente del club liventino si ebbe con la morte dello storico presidente Giuseppe “Angelino” Cauz. Fu lui, patron molto amato, a guidare il club dal 1984 al 2005. Un excursus pieno di successi a livello giovanile.

La prima squadra, invece, divenne una priorità subito dopo, quando arrivò alla presidenza l’imprenditore Raimondo Lucchese. Anche allora si trattò di un passaggio di consegne difficoltoso, sebbene con toni minori rispetto alla querelle attuale.

C’era chi voleva puntare sui giovani e chi pensava a un progetto più in grande. Vinse quest’ultima idea, che si concretizzò nel 2009: Sacilese per la prima volta nella sua storia in Seconda divisione di Lega Pro, la vecchia serie C2 per i nostalgici. Stefano De Agostini allenatore, Augusto Fardin uomo-mercato, giocatori con tanta fame di successi e, soprattutto, una società organizzata e ambiziosa: al fianco di Lucchese, una coppia, composta da Gianpaolo Presotto e dalla moglie Lidia Nadal, che ha firmato un’epopea forse irripetibile. Almeno di questi tempi.

Angelo biondo. L’esordio in Lega Pro culmina con la salvezza, esportando il nome di Sacile in tutta Italia, sino a Nocera Inferiore, dove ancora si ricordano un certo Angelo Calligaro, portierone biondo di quella squadra: parò tutto, anche l’impossibile. Quindi una retrocessione-beffa l’anno successivo, con l’ex bandiera triestina Maurizio Costantini e nel finale il giovane Stefano Andretta al timone: fatali i play-out al cospetto di una società (la Sanremese) di fatto già fallità.

Ma non mancò la voglia di rialzarsi, conquistando piazzamenti in serie nel pianeta dei semiprofessionisti, quello forse più consono a una realtà che nemmeno in C2 riuscì mai a riempire i circa 2 mila posti dello stadio XXV aprile. Tifosi freddi, si dirà. No, forse concorrenza troppo agguerrita e, per molti, ultras compresi, forte tentazione Udinese. Intanto si susseguirono allenatori che in riva al Livenza trovarono un trampolino di lancio: Carmine Parlato e Mauro Zironelli su tutti.

Onori e querelle. Dal 2013 riprese a vincere anche il vivaio: due titoli regionali nei giovanissimi e una finale scudetto a Chianciano Terme, che portò tutti dal sindaco Ceraolo, con tanto di onoroficenza al presidente Presotto. Ben altre faccende è chiamato a sbrigare in questi giorni il primo cittadino. L’età dell’oro si è chiusa nel peggiore dei modi.

La storia ne stabilirà i colpevoli. Ora c’è un club in procinto di retrocedere in Eccellenza dopo 13 anni, un vivaio da rilanciare e un nodo da districare, quello della proprietà della società: da una parte il misterioso Francesco Baù, dall’altra una cordata di imprenditori romani impersonificata dalla giovane Ornella Rubino. Nel mezzo una vecchia signora di quasi 100 anni che merita rispetto.

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