Sanità, la lettera degli ex dirigenti alla Regione: «Non si cancelli la storia degli ospedali di rete»
L’appello di Copetti, Moscariello, Pertoldi e Sbrojavacca alla Regione
«C’è l’esigenza di concepire le urgenze come una filiera, da casa al ricovero»
UDINE. Sos per la medicina d’urgenza. A lanciarlo sono quattro ex primari che in Friuli hanno fatto la storia di questa specialità: Roberto Copetti, già direttore a Latisana, Francesco Moscariello, già direttore a Pordenone e prima a Tolmezzo, Franco Pertoldi, ex primario di San Daniele e Rodolfo Sbrojavacca, già direttore della medicina d’urgenza del Santa Maria della Misericordia di Udine.
«Le tensioni che si avvertono in questi giorni fra l’assessore regionale alla sanità e la rappresentanza degli anestesisti/rianimatori cadono in un momento critico per la rete dell’emergenza/urgenza della nostra regione e dell’AsuFc in particolare – spiegano –. La situazione dei pronto soccorso, messi alla prova dal superlavoro durante i due anni di pandemia, fiaccati dalle carenze degli organici, è critica e le giovani leve non sembrano aspirare a questo tipo di carriera, a giudicare dalle iscrizioni alle scuole di specialità. A complicare la situazione – proseguono – in AsuFc, si è aggiunta, senza alcun preavviso, una direttiva che aveva l’intento di aggiornare le codifiche dei posti letto nei pronto soccorso e medicina d’urgenza degli ospedali di rete (San Daniele/Tolmezzo, Latisana/Palmanova), senza una valutazione attenta dell’impatto nella gestione dei letti semintensivi».
Secondo i quattro ex primari, infatti, in questi ospedali medici e infermieri della medicina d’urgenza hanno garantito negli ultimi trent’anni l’assistenza ai malati semintensivi e intensivi abbinando anche l’attività di pronto soccorso che ha riguardato almeno 500 pazienti all’anno per ciascun ospedale.
«Un modello – precisano – che, in assenza di una terapia intensiva generale e cardiologica, ha garantito sino ad ora sicurezza e competenza a chi arriva in pronto soccorso o ai pazienti che, ricoverati nei reparti, hanno delle complicazioni. Questa esperienza è stata un modello e un riferimento anche per altre regioni italiane».
In questo modo, per i quattro ex primari, negli ospedali di riferimento si possono portare solo i pazienti più gravi che devono ricevere cure specialistiche, mentre ora c’è il rischio di intasare queste strutture che rischiano di non reggere tutto il carico. Da qui la richiesta di riflettere prima di mandare in cantina questo modello, in particolare sul ruolo della dotazione dei letti semintensivi che sono flessibili: se necessario, infatti, possono trasformarsi facilmente in intensivi.
Oltre a questo sottolineano «l’esigenza di concepire il sistema dell’urgenza come una filiera che, partendo dal domicilio del paziente, coinvolge il medico di medicina generale, il personale di soccorso, il trasporto, i soccorritori, il medico di pronto soccorso fino all’eventuale ricovero: ogni anello della filiera è importante per il buon risultato finale ed è importante perciò che tutti gli operatori vengano coinvolti in questo sforzo».
L’auspicio è che ci siano ancora margini per combinare le esigenze di rivedere i posti letto con quelle dei tanti pazienti che ogni giorno avrebbero bisogno di un’intensità di cure superiore a quella che si può garantire nei normali reparti di degenza e consolidare, in tutti gli ospedali con il pronto soccorso, un’adeguata dotazione di posti letto semintensivi. «Confidiamo – concludono – che le direzioni generali (in particolare quella della AsuFc), l’Arcs e l’assessorato alla sanità, trovino soluzioni rispettose delle professioni e delle discipline coinvolte, ma anche della storia e dell’esperienza virtuosa di 30 anni negli ospedali di rete del Friuli Venezia Giulia».
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