Sanremo 2022, ci sono più spot alle fiction della Rai che canzoni
Ornella Muti si è impappinata pur nel suo orgoglioso spacco inguinale alla Belen senza farfalla. E Morandi e Ranieri non mollano tinta e palco. Il riassunto della prima serata in versione express: chissà perché i motivetti sono sovrastati regolarmente da un quintale di altro, che deve essere esibito per consentire di oltrepassare l’una di notte e più
SANREMO. Morandi e Ranieri potrebbero ben lasciare che il capello vada per la sua natura, dio buono. Persino Baudo, una sera, buttò nella plastica il barattolo del colorante. Viene il momento in cui il buon senso estetico deve prevalere sull’aspirazione Dorian Gray. Facce anziane col ciuffo corvino è come uno smoking con le braghe della tuta.
Istituzionale nel midollo, nazionalista per dovere, Sanremo mai potrà diventare X Sanremo, i geni non lo consentono, però una pompata di modernismo dopo settantuno anni, quasi settantadue (da sabato), se lo potrebbe concedere.
Se non altro evitarci le finte sorprese (i bigliettini di Fiorello), gli stupori concordati e quella frase che da sola potrebbe dare il diritto di premere il bottone rosso dell’atomica: è tutto in diretta.
Riecco Ama, Ama terzo per mancanza di gente volenterosa a volerlo sostituire, Mattarella lo sa bene. È un Paese con poche alternative. Dappertutto.
La botta coi Måneskin ha dato alla canzone un buon motivo di volare nel blu dipinto di blu, un vanto nazional popolare così come lo è Matteo Berrettini, number six in the tennis world, sperduto sul palco dell’Ariston, ma elegantissimo.
Oddio, la deb del festival Muti pareva più sperduta del gigante buono e ciò non era prevedibile. A parte riavvolgere ricordi — comprensibile destino di una diva al festival — e parlare prevalentemente di morti, Ornella si è impappinata pur nel suo orgoglioso spacco inguinale alla Belen senza farfalla.
Ah le canzoni.
Chissà perché i motivetti (da anziano li chiamo così, come una volta) sono sovrastati regolarmente da un quintale di altro, che deve essere esibito per consentire di oltrepassare l’una di notte e più. Esigenze di sponsor.
Insomma, cosa resta in testa del primo round del settantadue? Nel bene e nel male?
Fiorello irrompe, entusiasma una platea finalmente strapiena — «sono la vostra terza dose» — intimando ad Amadeus che il loro prossimo incontro sarà al funerale di uno dei due («se Dio va in ordine alfabetico…»). E la tv prende colore per un quarto d’ora.
Un mistico Achille Lauro che si tocca e si battezza plagiando persino se stesso. Si ricorda, ma non per sempre. Per carità.
La caterva di fiction Rai che ci seppelliranno a febbraio. Capisco che non c’è palco più spottante di Sanremo, ma è un’autoreferenzialità nauseante.
Ah le canzoni.
E il vestito della Berti? Un’ovovia rosa con degli spuntoni. Da spaccare le forbici allo stilista.
Ah le canzoni.
Odio i voti. Li danno tutti, io no. E poi chi sono io per darli? Un cantante? No. Soltanto un modesto ex batterista. Troppo poco per fare pagelle. Ormai l’esperienza insegna che per apprezzare certe musicalità sanremesi occorrono due serate.
Solo sensazioni da primo ascolto, da spettatore puro.
Dico Morandi (“Apri tutte le porte”), e si sente la mano di Jovanotti, per la grinta che ci mette sempre anche a 77 anni, dico Dargen D’Amico “Dove si balla”, mi ha divertito e si fa amabilmente ascoltare, dico Rkomi,“Insuperabile”, per quell’attacco bello rock.
Pollice verso: Lauro, Mena (mi spiace assai ragazza bella), Bravi, Yuman.
Da risentire: Noemi, Mahmood/Blanco, La Rappresentante di Lista, Ranieri, Ferreri.
A mezzanotte e venti arriva Bova/Don Matteo. Clic. Buonanotte.
Qui tutti gli articoli della rubrica “Exit Polle”, le divagazioni semiserie da Sanremo e dal mondo dello spettacolo
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