Santarossa racconta la meglio gioventù ai tempi di Vasco Rossi
E' ambientato nel Friuli degli Anni ottanta il nuovo libro dello scrittore pordenonese: le avventure di quattro ragazzi che scoprono il mondo grazie a Blasco.

La vita è piena di bivi, di incroci, di svolte: per un ragazzino smarrito nei sobborghi di quella che non è ancora una città, ma anche per una rockstar che vuole «trovare un senso a questa vita anche se questa vita un senso non ce l’ha». Nell’anonima estate friulana dell’87 quel ragazzino, assieme ad altri tre coetanei, sta cercando. Cerca risposte alle assenze dei genitori che lavorano duramente alla Zanussi, ha bisogno di alternative ai giochi pericolosi fra i «dinosauri arancione» della periferia affamata di un progresso implacabile e disumanizzante. Forse cerca un volto, una voce, una canzone in cui riconoscersi, in cui esistere per quello che è e non per quello che altri vorrebbero diventasse: trovare qualcosa di buono dove famiglia, scuola, lavoro e chiesa hanno fallito. Allora quei ragazzini ricchi di sogni e miseria decidono - per fortuna o per illuminazione - di scoprire Cosa succede in città. Quei ragazzini trovano: trovano Vasco, il 16 agosto 1987 al parco Galvani di Pordenone, il loro primo concerto, il concerto della vita.
Dopo aver raccontato a muso duro storie di margine e disagio, lo scrittore pordenonese Massimiliano Santarossa torna con Cosa succede in città, un romanzo «dolce, scritto con il cuore di un fan degli anni Ottanta. In esso Vasco Rossi non è protagonista, né interviene, ma aleggia, permea, dà senso alla narrazione». In attesa di leggerlo - uscirà a novembre per Dalai -, cerchiamo di capire meglio con Max come è nato questo romanzo e che cosa racconta della sua meglio gioventù folgorata dal Komandante.
“Stand by me” friulano. Nel 1987 Vasco è arrabbiato, politico, sociale. È l’anno di C’è chi dice no e per i nostri imberbi magnifici quattro sarà l’estate più bella della loro vita. «Una storia un po’ alla Stand by me di Stephen King - dice Santarossa -. Come nei miei precedenti libri, l’ambientazione è a Nord-est, forse meno localizzabile, ma più di qualcuno ci vedrà la Pordenone degli anni Ottanta. Quei ragazzini vengono da famiglie proletarie, con papà e mamma a lavorare duro in fabbrica e loro abbandonati a se stessi. Che fare, allora? Si esce di casa, si va incontro al mondo là fuori, si va in quella singolare e frequentatissima scuola di formazione, in quella scuola... da bere che è il bar di ogni paese e di ogni periferia, con i suoi personaggi un po’ saggi («Attento all’alcol! Non e drogarti!») e un po’ devastati, i suoi ritmi, i suoi liquidi, il juke-box, il fumo (e qualcosa d’altro...). È il trampolino alla vita».
Vasco, uno di noi. È nel bar che i ragazzini fanno la conoscenza di Vasco: lui è nel juke-box, nei dischi e nelle cassette che i grandi prestano ai piccoli. Loro ascoltano le canzoni e subito capiscono che parla la stessa lingua del disagio, che lui li racconta: è uno di loro, un fratello maggiore i cui dischi dicono molto, ben più degli stanchi e inutili vinili dei genitori. Sì, Siamo solo noi, «anche se non esagerati - chiosa Max -. E lo scopriranno allo storico concerto del 16 agosto 1987 al parco Galvani di Pordenone. Ma non hanno i soldi per comperarsi i biglietti». E allora? Rubano i tickets in un negozio. E da lì comincia l’iniziazione alla vita».
Fronte del palco.. Al concerto arriva anche il primo incontro con le ragazze, i contatti altri, la prima ubriacatura, girano canne e roba pesante. Vedono l’intera città sotto il palco: loro che stanno uscendo dall’innocenza e lì vicino i delinquenti abituali. Si chiedono: perché gente così diversa a un concerto di Vasco? Risponde Max: «De André sosteneva che Vasco è il poeta della distruzione, ma anche della resurrezione. Per questo ai concerti del dottor Rossi, e solo ai suoi, c’è un’umanità così varia. Allora ti rispondo come i protagonisti del mio romanzo (quanto sia autobiografico però non te lo dico!): perché la gente non ci ascolta e si allontana; quello lì invece non ci ha mai giudicati, canta le debolezze, canta noi, ha vissuto come noi».
La memoria nel cassetto. La storia diventata romanzo parte da lontano anche come idea. Confida Santarossa: «Sai, ogni tanto i ricordi riaffiorano, se ne vanno e tornano ancora. Avevo conservato degli appunti buttati giù poche ore dopo il concerto, un diario notturno da cui ho tratto un breve racconto. L’ho fatto leggere a Gian Paolo Serino, direttore di Satisfiction; gli è piaciuto e lui a sua volta l’ha fatto leggere a Vasco. Il Komandante si è emozionato: ha detto che l’ho fatto sentire un po’ il fratello maggiore. Il lavoro è poi finito sul sito e l’hanno letto migliaia di fan. Da lì ho deciso di lavorarci sopra e di dare alla storia le dimensioni di un romanzo di 130 pagine a tutto rock’n’roll. Stringi stringi, con Vasco come santo protettore dei nostri quattro babies, ho voluto raccontare una stagione, una gioventù, una povertà che, come sappiamo, non ha mai una geografia limitata. Volevo e voglio trasmettere il desiderio di trovare un riferimento personale, più forte dei quattro pilastri fallimentari (per noi ragazzi degli Ottanta) famiglia-scuola-lavoro-chiesa, una sorta di educazione al contrario, che non è mala educación, una formazione alla vita dal trampolino del bar, un tuffo nel mare dell’esistenza in cui devi imparare a nuotare da solo. A tempo di rock’n’roll».
La musica che salva. Qualcuno dice che la musica salva. Cosa ne pensa Max? «Una certa musica salva, sì: è quella in cui ti identifichi; è la musica della felicità possibile. Io avevo bisogno della musica italiana. Grazie ad essa, ho capito che è immagine di un popolo, che può sbagliare ma che è un popolo, sempre capace di imparare dai propri errori. Ecco allora che la sintonia con Vasco è stata immediata. Certo, i fratelli maggiori si possono criticare, ma mai dimenticare». Torniamo all’idea della felicità possibile... «Nei tre libri precedenti ho raccontato ventenni e trentenni distrutti e disperati, stavolta ho invece scelto il registro del cuore e la dolcezza del ricordo che suona ancora dentro di me. Cosa succede in città è un racconto sociale di periferia - poco importa se sia Pordenone o un altro posto del mondo -: è una storia di domande e assenze, di chi cerca e trova nella musica, nel rock, in Vasco un linguaggio, a volte una risposta».
Vasco, il ritorno. «Don’t follow leaders» ammoniva Dylan nel ’65. «C’è chi dice no» aggiungeva in quella magica estate pordenonese dell’87 il Blasco, lui che leader non è mai stato, riferimento neppure, e che ora si è anche dimesso da rockstar, ma non da... Vasco. «Rimane il nostro fratello maggiore - conclude Massimiliano Santarossa - quello che il 2 settembre andremo ad abbracciare, assieme a decine di migliaia di fan, allo stadio Friuli di Udine».
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