SARA IL GUERRIERO E LA VOGLIA DI CONQUISTARSI UN FUTURO

di PAOLO PATUI
All’appello del primo giorno di scuola Sara non c’era. E nessuno in classe ne sapeva nulla. Pochi minuti dopo qualcuno ha bussato alla porta. E’ entrato un ragazzo di colore, dal fisico atletico e statuario. “E tu chi sei?” “Sara”. La classe di primini friulani è scoppiata a ridere e il prof. pure. Sara non ha battuto ciglio e si è avviato solenne verso il banco rimasto vuoto. Sara non ha mai voluto spiegare perché si chiamasse così, né che significato avesse quel nome in Burkina Faso, sebbene sapesse bene il significato di Burkina Faso: Terra degli uomini integri. E sebbene sapesse parlare di sé con intelligente discrezione e a volte con ingenuità tenerissima. Come quando in un compito in classe ha raccontato del suo viaggio da Banfora fino a Pinzano e delle inevitabili marachelle che i coetanei autoctoni gli combinavano per prenderlo in giro e forse alcuni anche per umiliarlo. Ma l'ordine in casa di Sara era di non permettersi nel modo più assoluto di reagire. Una volta però a Sara è scappato di rispondere alle spintonate con spintonate e altre cose e vista la sua stazza non gli era stato difficile uscirne vincitore. Fuori casa. Perché in casa il padre l’ha redarguito con severità solenne. “Solo la nonna –scrive Sara- ha detto che avevo fatto bene a suonargliele, ma si sa lei è figlia di un guerriero!” Sara non scrive sciocchezze, parla il giusto per dire il giusto e dopo una settimana non c’era nessuno in classe che osasse punzecchiarlo per via del nome, della pelle o di chissà quale altra dabbenaggine. Sapeva e sa l’italiano meglio di molti altri suoi compagni italiani e anche in fatto di friulano non se la cava affatto male. Ma a parte questo, il suo l’atteggiamento nei confronti del mondo pare capace di riscoprire significati e gesti normali eppure così dimenticati in questo lembo di Occidente decadente. Dinanzi a un’aula uscita dalla ricreazione che nemmeno una discarica potrebbe reggere al confronto, dinanzi alle legittime rimostranze del bidello (d’accordo, d’accordo: non si deve dire bidello, ma personale ATA), la classe era rimasta immobile, persino un po’ seccata per quei rimproveri. Solo Sara si è alzato, si è allargato il bordo inferiore del maglione e nella cocca così formatasi ha iniziato a deporre un tetra brik, un tappo, una carta di chewing gum e a portare il tutto presso i cestini della raccolta differenziata. Ha solo detto: “Se c’è un problema bisogna risolverlo, non solo parlarne”. Sara non è un ragazzo modello; ogni tanto non fa i compiti, dice le parolacce, si impigrisce, diventa di cattivo umore, ma in quegli occhi scuri, tra le pieghe crespe dei suoi capelli corti c’è una energia vitale, c’è una voglia di avere la meglio sulle sorti della vita e dell’esistenza che sovente pare sbiadita nei ragazzi nostri. E come Sara, tra le classi varie è facile imbattersi in ragazzi kosovari, macedoni, africani, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua piaga nel cuore, ma quasi tutti con un senso di disciplina e una determinazione accesa e vitale che fanno di loro persone vive, proiettate verso un futuro da conquistare e non solo da ereditare. Poi, si sa, mica tutti sono così, e di ogni erba non si può fare un fascio. Anthony “deportato” in un’estate da Marsiglia a Villanova di San Daniele, piccolo e gracile, mica gagliardo come Sara, le prendeva un po’ da tutti, fino a diventare cattivo e a portare in giro per chissà dove, sostanze strane di chissà che cosa. Ridargli un sorriso sereno è stato difficile. Sara racconta che comunque anche per lui non è stato facile e che di amici nel suo paese non ne ha avuti fino a quando non si è deciso a giocare a calcio. Sara dice che il calcio lo ha salvato, perché in campo si è tutti uguali e poi quello che conta non è da dove arrivi e di che colore sei, ma quello che sai fare con la palla e con la voglia di correre e di vincere. Ecco perché dice Sara che il calcio lo ha salvato. Io dico di sì, che è vero, che il calcio una mano gliel’ha data. Ma forse più che il calcio lo ha salvato l’animo fiero ereditato dal suo antenato guerriero.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto