Scandalo Italease Danieli chiede 13 milioni

Chiusa la discussione sul processo a carico dell’ex tesoriere “infedele”. Il pm: 3 anni di reclusione. La parte civile: risarcimento. La difesa: assoluzione

UDINE. Tre anni di reclusione per l’ipotesi di reato di corruzione tra privati, aggravata dal fatto che la società danneggiata, ossia la Danieli & C. officine meccaniche di Buttrio, è quotata in Borsa. E un risarcimento danni di 13 milioni di euro, con provvisionale immediata di 500 mila euro. Sono le richieste con le quali, ieri, pm e parte civile hanno chiuso la discussione nel processo a carico di Maurizio Mian, 48 anni, di Gorizia, l’ex tesoriere dell’azienda friulana accusato di avere causato al gruppo un “buco” di 18,5 milioni di euro.

Improcedibilità dell’azione penale davanti al tribunale di Udine e, nel merito, assoluzione con la formula “perchè il fatto non sussiste”, invece, la conclusione del difensore, avvocato Alessandro Ceresi, al termine di un’arringa lunga circa due ore. Riunito in composizione collegiale, il tribunale (presidente Carla Missera, a latere Emanuele Lazzàro e Matteo Carlisi) ha rinviato le parti al 6 giugno, per repliche e sentenza.

Il “buco” dei derivati. Al centro del procedimento, nato come costola dello scandalo milanese della Banca Italease, i 12 contratti derivati effettuati da Mian, dal dicembre 2003 al giugno 2006, con la stessa Italease, all’insaputa - questa la tesi accusatoria - e con i soldi della Danieli. Per quelle operazioni, il gruppo aveva visto sfumare, per l’appunto, investimenti per 18,5 milioni. Da qui, la richiesta del legale di parte civile, avvocato Maurizio Miculan: i 13 milioni corrispondono alla somma che Danieli si è vista costretta a versare in sede di transazione con Italease. La provvisionale, calcolata in 500 mila euro, rappresenta invece l’ammontare delle tangenti che, a sentire i testi - a cominciare dal grande accusatore Roberto Fabbri - Mian avrebbe intascato per la stipula dei contratti.

Accusa e difesa. Duplice la formulazione data dal pm Marco Panzeri al capo d’imputazione: infedeltà patrimoniale o, in alternativa, corruzione tra privati. Rimettendo al collegio la scelta, in aula il magistrato si è espresso per la seconda soluzione, proponendo 3 anni di reclusione e il sequestro conservativo di beni e utilità dell’imputato, a copertura delle spese processuali. Ricordando come Mian sia già stato giudicato a Milano e sostenendo essersi trattato dello stesso fatto, il difensore ha invece insistito per l’improcedibilità dell’azione penale. Sul punto, tuttavia, la Cassazione aveva già in precedenza respinto l’eccezione del conflitto d’incompetenza, ritenendo i fatti diversi.

La Cassazione. Il rinvio del verdetto a giugno sembra tutt’altro che casuale. Nei mesi scorsi, infatti, è intervenuta la sentenza di condanna della Corte d’appello di Milano a Mian e ai vertici dell’allora Italease - la «cricca dei derivati di Italease”, come l’aveva definita l’avvocato Miculan - a 1 anno e 7 mesi per appropriazione indebita. L’ultima parola spetta alla Cassazione, che si pronuncerà il 23 maggio. Se la condanna diventerà definitiva, i fatti provati a Milano potrebbero valere anche per il processo udinese.

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