Seduti a distanza con la mascherina e i preti con i guanti: ecco come parteciperemo alle messe

UDINE. I funerali - con al massimo quindici partecipanti - sono già ripresi. Per le cresime bisognerà aspettare: sospese fino a nuova comunicazione.
Ma da lunedì 18 maggio le chiese riapriranno i battenti ai fedeli per le messe feriali e festive, pur tra mille prescrizioni: gli ingressi saranno contingentati, tra i banchi bisognerà rispettare la distanza di un metro e indossare la mascherina. E i sacerdoti dovranno indossare i guanti monouso per distribuire la comunione.
Le novità sono contenute nel protocollo firmato dalla Cei e dal governo ieri mattina a Palazzo Chigi: il testo è il frutto della collaborazione tra la Conferenza episcopale italiana, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministero dell’Interno e il Comitato Tecnico-Scientifico.
L’accesso ai luoghi di culto si dovrà svolgere in modo da evitare ogni assembramento sia all’interno di chiese, santuari e pievi, sia all’esterno (sul sagrato) che negli spazi annessi (sagrestie e spazi parrocchiali). Il legale rappresentante dell’ente (il parroco) individuerà la capienza massima dell’edificio di culto, tenendo conto della distanza minima di sicurezza «che deve essere pari ad almeno un metro laterale e frontale».
Il protocollo specifica che in questa fase l’ingresso in chiesa resta contingentato e sarà regolato da volontari o collaboratori che - indossando guanti monouso, mascherina e un segno evidente di riconoscimento - agevoleranno l’ingresso e l’uscita dei fedeli, vigilando sul numero massimo di presenze consentite. Cei e Viminale suggeriscono di aumentare il numero delle celebrazioni nei casi in cui il numero di presenze consentite superi in maniera significativa i limiti fissati.
All’ingresso andranno posizionati dispenser di gel igienizzante per mani. Durante l’ingresso in chiesa, per favorire l’accesso ordinato, andrà rispettata la distanza di sicurezza di almeno un metro e mezzo, utilizzando se possibile ingressi differenziati per entrata e uscita. Prima dell’inizio della celebrazione e al termine le porte devono rimanere aperte, «per favorire un flusso più sicuro ed evitare che vengano toccati battenti e maniglie».
Chi entra in chiesa per assistere alla messa dovrà obbligatoriamente indossare la mascherina per proteggere naso e bocca. Oltre ai dispenser con il gel per le mani, massima attenzione sarà riservata all’igienizzazione dei luoghi. Le chiese, comprese le sacrestie, andranno igienizzate al termine di ogni celebrazione e al termine di ogni celebrazione andranno disinfettati accuratamente anche vasi sacri, ampolline e gli oggetti utilizzati per l’eucarestia, microfoni compresi. Resteranno ancora vuote le acquasantiere.
Le autorità invitano a ridurre al minimo la presenza di concelebranti e ministri, tenuti a mantenere la distanza sociale di sicurezza anche all’altare e nel presbiterio. La messa potrà essere accompagnata da un organista o da un musicista, ma niente cori.
Sarà ancora omesso lo scambio del segno della pace, mentre diventa laboriosa la distribuzione dell’eucaristia: celebrante, diacono o l’eventuale ministro straordinario dovranno disinfettarsi le mani, indossare guanti monouso e mascherina e mantenere un’adeguata distanza, porgendo l’ostia senza toccare le mani dei fedeli, che dovranno fare la fila a distanza di un metro e mezzo in attesa della comunione.
Per evitare contatti, gli oboli non saranno più raccolte durante l’offertorio. Saranno collocati appositi contenitori, dove non già presenti, agli ingressi delle chiese. Per ragioni igienico-sanitarie, non saranno lasciati sui banchi fogli e libretti per i canti.
Le confessioni saranno possibili, ma in luoghi ampi e areati: non insomma nei confessionali. Sacerdote e fedele anche durante la confessione dovranno indossare la mascherina: il Protocollo impone il rinvio della celebrazione delle cresime, che saranno recuperata in date da destinarsi da parte di diocesi e parrocchie.
«Due mesi di lontananza vissuti come un’occasione»
Non aveva taciuto quando il Governo, illustrando la “fase 2”, aveva negato la possibilità di consentire ai fedeli di partecipare alle messe, da due mesi celebrate a porte chiuse. Ora, che c’è una data e che ci sono le disposizioni per ripartire in sicurezza, auspica che questa “astinenza” abbia portato i suoi frutti.
«Sono molto contento della decisione di permettere le celebrazioni con il popolo a partire da lunedì 18 maggio, nel pieno rispetto delle indicazioni ministeriali per il contenimento della diffusione del virus», è la premessa di monsignor Giuseppe Pellegrini, vescovo della diocesi di Concordia-Pordenone.
«Mi sento anche di ringraziare particolarmente tutti quelli che si sono impegnati perché si potesse giungere alla celebrazione con il popolo dei sacramenti: è una grande gioia tornare a celebrare l’Eucaristia e gli altri sacramenti come comunità cristiana, gioia per i pastori, per i sacerdoti, ma anche gioia per tutto il popolo di Dio».
Sinora il vescovo aveva celebrato la messa domenicale e del triduo pasquale in diretta tv su “il13” e sul canale Youtube della diocesi “Comunicare la speranza” da siti “simbolici”: ospedale, Cro di Aviano, sede della protezione civile, fabbriche (Savio di Pordenone e San Giacomo di Cecchini di Pasiano), seminario, santuari, scuole (istituto Vendramini), chiese del territorio.
Quindi un ringraziamento. «In questi due mesi di digiuno eucaristico e di lontananza dal Signore Gesù che abbiamo alimentato con la preghiera personale in famiglia e con il supporto prezioso e indispensabile dei mezzi della comunicazione - sia la stampa, ma anche la comunicazione tramite streaming YouTube tramite televisione – ringrazio di cuore per questa vicinanza e per tutto quello che si sta facendo».
Il presule spera che «per tutti sia stata un’opportunità per riflettere sul significato più vero e più profondo della nostra fede e dell’incontro con Gesù. L’assenza della presenza nelle celebrazioni e nella vita della comunità spero che ci abbia aiutati ad aumentare e a sostenere il desiderio di incontrarci come comunità e con il Signore Gesù, con i sacramenti e con l’Eucaristia. Questo ci permette di riscoprire la centralità della fede nel Signore Gesù e che cosa significa veramente essere uniti a Gesù, avere Gesù dentro di noi, nel nostro cuore».
Monsignor Giuseppe Pellegrini cita un aforisma di Domenico Modugno a proposito della lontananza che è un sinonimo di assenza. Così aveva cantato: “La lontananza è come il vento che spegne i fuochi piccoli e alimenta i fuochi grandi”.
«Significa dunque che questa lontananza ci sarà di aiuto. Se noi avremo un cuore grande, se saremo capaci di sviluppare un cuore che sa amare veramente il Signore allora sì che questa lontananza ci è stata e ci sarà di aiuto.
Ricordiamoci quello che Gesù aveva detto ai suoi discepoli: è giusto che io me ne vada perché verrà lo Spirito Santo. Ci stiamo avvicinando anche alla Pentecoste (31 maggio): lo Spirito Santo ci illumini e ci aiuti a riscoprire sempre di più la bellezza e la gioia dell’incontro con Gesù Risorto, con Gesù vivo e presente che ci dona il suo spirito».
Infine, il vescovo della diocesi di Concordia-Pordenone si augura che «questa opportunità favorisca la crescita ancora di più nelle nostre comunità cristiane e un’attiva partecipazione alle celebrazioni domenicali dell’Eucarestia».
Nei prossimi giorni il testo con le nuove indicazioni verrà inviato alle parrocchie della diocesi, con la declinazione pratica per aiutare i parroci a predisporre le chiese per il ritorno graduale alla celebrazione dal 18 maggio. Molti sacerdoti, peraltro, come si evince dalle testimonianze raccolte in questa pagina, si sono già messi in moto per non giungere impreparati al ritorno dei fedeli in chiesa, sebbene con molte precauzioni.
Se dunque non ci saranno marce indietro dovute a una recrudescenza del coronavirus, la coda delle feste del tempo di Pasqua – Ascensione e Pentecoste – potrà essere celebrata nelle chiese con la partecipazione del popolo.
«La soluzione più semplice è assegnare i posti a sedere»
«Chi sta bene nello spirito sta bene nel corpo». Non nasconde la sua soddisfazione, don Aldo Moras, e le idee su come gestire la ripresa, le ha chiare.
«La soluzione più semplice: numerare i posti. Un volontario dà il numero e il fedele va a sedersi lì. Per un po’ di tempo dovrà rinunciare al consueto amico vicino di banco e per avere un “miglior posto” dovrà presentarsi un po’ prima, in fila e a distanza, davanti alla chiesa». Torna buono un proverbio: chi prima arriva, meglio alloggia.
La parrocchia di San Pietro apostolo è una delle più popolose della diocesi: 9 mila abitanti. I frequentati abituali sono poco meno di 2 mila. Una messa il sabato sera, due la domenica mattina e una il pomeriggio: «Per il momento manteniamo gli orari abituali. Se la frequenza dovesse essere esorbitante, ci penseremo».
Il sacerdote guida anche la parrocchia di San Michele Arcangelo, Fagnigola, un migliaio di abitanti, una messa il sabato sera e una la domenica mattina. «Anche in questo caso non dovrebbero esserci problemi. Le due chiese sono abbastanza grandi». Il distanziamento permetterà la frequenza di una novantina di persone a rito ad Azzano Decimo, un’ottantina a Fagnigola.
Preoccupato? «Rispetteremo tutti gli accorgimenti sanitari, ma ero più preoccupato senza il popolo. Il volontariato nelle realtà parrocchiali non manca». Quanto alle confessioni, «la nostra chiesa è sempre rimasta aperta. Chi vuole accostarsi, telefona e ci si incontra durante la settimana, a distanza».
«Ho visto molte persone riavvicinarsi alla chiesa»
«Mi chiede se sono contento? Parlare con i banchi è sempre parlare con i banchi». Si “rimette in moto” anche l’abbazia di Sesto al Reghena: la parrocchia di Santa Maria conta circa 2 mila persone di cui il 10 per cento frequenta abitualmente. Quattro le messe festive: una il sabato sera, due la domenica mattina e una la sera.
«Non mi pongo il problema dei numeri, in quanto la conformazione dell’abbazia permette un buon distanziamento – dice l’abate monsignor Giancarlo Stival –. Nella navate ci stanno, distanziate, 45-50 persone, nell’atrio ce ne stanno altrettante».
I problemi, a suo dire, sono altri: «Gli strumenti. Meno male che il termoscanner non è più obbligatorio: chi lo trova? Confidiamo nella responsabilità delle persone. Aprire e chiudere le finestre non è un problema, lo è trovare mascherine e guanti, per esempio».
Con la ripresa delle funzioni a porte aperte, cesserà la diretta via Facebook: «È stata un’esperienza che ha dimostrato quanto siano utili sia i giovani sia gli anziani. I primi, per permettere ai secondi (nonni, genitori) di partecipare, hanno messo a disposizione la loro tecnologia. Questo sistema ha funzionato: abbiamo “fatto comunità” partendo dal “fare famiglia”».
Lo stop da coronavirus, conclude l’abate, «ha riavvicinato molte persone alla fede. È tornato il desiderio di riflettere: in chiesa ho visto tante persone che faticavo a vedere in passato e, con la pandemia, sono state due situazioni che mi hanno fatto pensare». —
«Distanzieremo i banchi e faremo più messe»
«Aggiungeremo un elemento chirurgico alla celebrazione liturgica». Con una battuta monsignor Ivan Bettuzzi, parroco di Codroipo e delegato episcopale per la riorganizzazione della Diocesi, commenta una delle indicazioni riportate nel protocollo firmato da Cei e governo sulla ripartenza delle messe con i fedeli, ovvero l’obbligo per i sacerdoti e per chi distribuirà l’eucaristia di indossare guanti e mascherina.
«Dovremo avere un po’ di pazienza, ci saranno preparativi un po’ più lunghi – indica monsignor Bettuzzi –. Ma siamo certi che i fedeli capiranno, considerato che è una misura che tutela loro e i ministri».
Per il parroco di Codroipo «è necessaria grande prudenza, quindi le misure devono tenere conto de valore della vita umana e del segno sacramentale: la sfida sarà tenere in equilibrio questi due valori».
La comunità parrocchiale codroipese si sta già organizzando: «Individueremo un gruppo di volontari laici che sarà incaricato di garantire il corretto accesso dei fedeli in chiesa, ma pure la gestione dei flussi e l’accompagnamento ai banchi, che sono già stati ricollocati in alcune chiese.
Non è una novità in senso assoluto: già nella chiesa primitiva c’erano gli ostiari che erano addetti all’ordine durante le celebrazioni». C’è poi il nodo della capienza: «Ci stiamo ragionando: a Codroipo, ad esempio, pensiamo a moltiplicare il numero di messe per diluire l’afflusso di fedeli».
«La comunione al banco, Penso alle messe all’aperto»
La comunione direttamente al banco, con sacerdoti e ministri a spostarsi verso i fedeli per evitare file difficilmente gestibili. E la possibilità di celebrare all’aperto «laddove le condizioni di sicurezza lo consentano».
Monsignor Igino Schiff, vicario foraneo della Bassa friulana, ha le idee ben chiare sulla Fase 2 che la Chiesa si appresta a vivere, dopo due mesi caratterizzati dagli edifici religiosi sbarrati ai fedeli.
«Il primo pensiero è di gioia, perché la riapertura delle chiese al popolo significa anzitutto che le cose stanno andando per il verso giusto sotto il profilo sanitario», indica il sacerdote.
Che poi scende nel dettaglio delle indicazioni. Sull’ingresso contingentato, monsignor Schiff rileva che «costituirà raramente un problema, considerata la stagione che stiamo vivendo: l’estate è un momento in cui le chiese sono meno frequentate. Qualche problema potrebbe emergere per le celebrazioni più importanti, penso ai matrimoni: proprio in questi giorni ho incontrato due sposi per fornire loro alcune indicazioni».
Non ci saranno le cresime, in questa strana tarda primavera: «Più che il rinvio della celebrazione in sé mi preoccupa la preparazione ai sacramenti dei ragazzi», riflette il sacerdote. Per il distanziamento sociale e gli ingressi contingentati i problemi sono facilmente risolvibili: «Abbiamo già studiato come rimodulare gli accessi nelle chiese più grandi, come San Giorgio di Nogaro, Marano e Porpetto, dove ci sono più messe al giorno». —
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