Sempre più papà fruiscono del congedo per stare a casa con i figli: ecco come funziona la legge

In Friuli Venezia Giulia il primato spetta a Pordenone ma anche Udine, Trieste e Gorizia fanno registrare dati superiori alla media nazionale

Francesco Codagnone
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Le differenze tra le forme di congedo obbligatorio previste per i neopadri e le neomadri in Italia sottendono stereotipi di genere ancora presenti nella nostra società e – raccontano i genitori – in alcuni casi limitano il diritto degli uomini a esercitare la propria paternità e delle donne a costruirsi una carriera, dovendo spesso farsi carico da sole del lavoro di cura della famiglia.

Il tema è normativo oltreché culturale ma le cose, anche se lentamente, stanno cambiando: sempre più padri scelgono infatti di rimanere a casa per accudire i propri figli subito dopo la loro nascita e il tasso di richieste di congedo di paternità è più che triplicato negli ultimi dieci anni.

I dati diffusi da Save the Children su rielaborazione Inps mostrano come a chiedere l’astensione da lavoro siano soprattutto padri con più di 30 anni, impiegati in medio-grandi imprese, con reddito medio-alto e residenti al Nord: tra le province italiane Pordenone è prima per percentuale di domande di congedo sugli aventi diritto, e il resto del Friuli Venezia Giulia si conferma sopra la media italiana con andamento in crescita.

Cosa dice la legge

Alla sua introduzione, nel 2012 il congedo di paternità prevedeva un solo giorno obbligatorio e due facoltativi, mentre oggi garantisce dieci giorni obbligatori e uno facoltativo ed è fruibile tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto. In Italia i mesi di congedo parentale sono dieci complessivi – di cui solo due retribuiti all’80% – per entrambi i genitori nei primi 12 anni di vita del bambino.

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Sempre più papà

Resistono ancora forti differenze nell’utilizzo del congedo di paternità in base a estrazione socio-economica e condizioni contrattuali, ma un primo segnale positivo viene dalla crescita, seppur graduale, di richieste inoltrate all’Inps dai neopapà: nel 2013, infatti, ha usufruito del congedo poco meno di un padre su cinque (19,25%), mentre nel 2022 sono stati più di tre su cinque (64,02%) con minime differenze a seconda che si tratti del primo (65,88%), secondo o successivo figlio (62,08%).

Nord e Sud

In Friuli Venezia Giulia il primato è di Pordenone, con la percentuale più alta (85%) – a livello regionale e nazionale – di uomini che, avendone diritto, richiedono l’astensione da lavoro per paternità.

Seguono Udine (80%), Trieste (75%) e Gorizia (71%), con tassi in linea con il resto del Nord e ed elevati rispetto alla media nazionale (64, 02%), mentre i numeri precipitano nel Mezzogiorno: chiede il congedo meno di un papà su tre a Crotone (24%), Trapani (27%), Agrigento e Vibo Valentia (entrambe al 29%).

Età e impiego

Fruiscono del permesso di paternità come prevedibile soprattutto uomini nelle fasce d’età comprese tra i 30 e i 39 anni (65,4%) e tra i 40 e i 49 (65,6%), e impiegati all’interno di aziende medio-grandi: fra quelle con più di 100 dipendenti il tasso è del 77%, scende al 45,2% nelle aziende con 15 dipendenti o meno.

Il divario sociale

Non a caso si rilevano forti quozienti a favore delle condizioni contrattuali più stabili: se tra i lavoratori a tempo indeterminato la percentuale tocca il 69,49%, tra quelli con contratto a tempo determinato scende al 35,95% e tra gli stagionali arriva solo al 19,72%.

Ancora, inequivocabile la correlazione tra fruizione del diritto e fascia reddituale: chiedono il congedo soprattutto i padri con un reddito tra i 15 e i 28 mila euro (73,3%) e tra i 28 e i 50 mila euro (85,68%).

La proposta

È pertanto «necessario sostenere questo cambiamento, andando nella direzione di un congedo di paternità per tutti i lavoratori e non solo per i dipendenti», afferma Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children: una misura che andrebbe anche «a sostegno delle neomamme, in un periodo della vita che troppo spesso si rivela difficile e caratterizzato da inadeguatezza e solitudine».

Pronta ad alzare la voce è anche la Cgil, con la delegata alla Politiche di genere e Pari opportunità della segreteria regionale Daniela Duz che chiede la «parificazione del congedo obbligatorio» per madri e padri, ricordando però che «i congedi prima o poi finiscono: per evitare – dice – che sia la madre a penalizzare la propria carriera, bisogna migliorare la qualità del lavoro femminile».

Le misure della Regione

L’assessore al Lavoro Alessia Rosolen saluta con positività il dato in crescita sui congedi di paternità, ma «senza semplificare: la conciliazione tra vita e lavoro – afferma – non ha una risposta unica».

Bene, dunque, ma avanti: divario di genere nel mondo del lavoro e per estensione denatalità non si risolvono con dieci giorni pagati per i padri ma «serve agire sul potere d’acquisto delle famiglie», tramite l’abbattimento delle rette dei nidi e incentivi al terzo settore per centri estivi e doposcuola, e «politiche attive per la stabilizzazione dei contratti lavorativi delle donne».

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