«Sentenza errata, faremo ricorso»

Udine, il legale della Net impugna la decisione del giudice di risarcire il direttore demansionato

UDINE. Impugnazione della sentenza in appello: è la risposta che la Net alla sentenza con la quale il giudice del lavoro di Udine ha accolto le richieste di Antonio Venchiarutti, ex direttore generale dell’allora Consorzio per il servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani tra i comuni della Bassa friulana, poi fusosi con la società udinese, condannando quest’ultima a versargli circa 300 mila euro, tra arretrati e contributi previdenziali.

La causa partiva dal presupposto che l’ex dirigente avesse subìto un demansionamento.

«In realtà – sostiene la Net – era stata la vecchia società a retrocederlo, dopo il suo pensionamento nel 2008, da dirigente a quadro, e non la Net. Venchiarutti, nel 2009, era stato riassunto dal Csr, percependo così sia la pensione che la retribuzione prevista per i quadri. Nonostante non fosse più dirigente, ha continuato a firmarsi come direttore generale: un errore grave da parte del cda dell’allora consorzio, che pur di riprenderlo con sé di fatto lo aveva demansionato».

L’importo riconosciutogli dal tribunale, quindi, secondo la Net, corrisponde a quello che avrebbe percepito da dirigente: un “gap” economico, insomma, che la società non intende compensare.

«La sentenza è errata nei due presupposti essenziali – afferma il legale della Net, avvocato Flaviano De Tina –: subordina la procedura a evidenza pubblica per il reclutamento del personale da parte della società in house all’approvazione di un regolamento governativo che sarebbe stato approvato a fine 2010, mentre il primo contratto è datato dicembre 2009. Nelle pubbliche amministrazioni e nelle partecipate non si può assumere personale senza concorso. In questo caso, dunque, non è nemmeno necessario un regolamento: se il Csr lo ha assunto, questo rapporto è nullo».

L’altro aspetto evidenziato da Net è che «Venchiarutti ha voluto costruire un diverso rapporto, non di natura dirigenziale, dopo essersi dimesso come impiegato di massimo livello a termine per 18 ore settimanali, prorogando poi il rapporto con la qualifica di quadro, con cui ha terminato la collaborazione, salvo poi rivendicare un diverso ruolo pochi mesi prima di dimettersi».

Il Csr, ricorda la Net, «aveva solo 7 dipendenti e appaltava la raccolta di rifiuti ad altre società; Venchiarutti, quindi, non poteva che occuparsi di mera amministrazione».

Testimoni e documenti hanno evidenziato la preminenza del Cda e del suo presidente nella conduzione del Csr. «Non c’era settore – continua De Tina – in cui il ricorrente sia intervenuto, se non per dare vera esecuzione alle decisioni previamente assunte dal Cda. Il che si scontra con l’ampia autonomia e discrezionalità che il dirigente deve possedere».

Per il legale, la continuativa presenza del Cda su ogni questione aziendale evidenzia che «Venchiarutti non ha esercitato alcun autonomo ruolo decisionale e discrezionale. Il discrimine tra l’impiegato direttivo o quadro e il dirigente sta proprio nell’esercizio da parte di quest’ultimo di un potere autonomo discrezionale, in grado di influire sugli obiettivi complessivi dell’impresa, che il ricorrente mai ha esercitato dopo il 4 gennaio 2008».

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