Serena Dandini al teatro Verdi di Pordenone: «I libri ci curano»

Mercoledì 12 marzo la conduttrice presenta il suo romanzo per R-Evolution/Lab: «Oggi in tv nessuno rischia più»

Gianpaolo Polesini
Serena Dandini sarà ospite di R-Evolution Lab a Pordenone per presentare il suo romanzo “C’era la luna”
Serena Dandini sarà ospite di R-Evolution Lab a Pordenone per presentare il suo romanzo “C’era la luna”

Il ripasso riguarda un vissuto decisivo per l’Italia, ovvero una piattaforma storica dalla quale s'innescarono le rivoluzioni comprensive di slancio per superare il buio del decennio successivo: con il romanzo di Serena Dandini “C’era la luna” (Einaudi) — il secondo libro di narrativa più venduto nel nostro Paese — indietreggiamo alla fine dei Sessanta guidati dalla romana Sara Mei, una quattordicenne decisa a comprendere gli oscuri espedienti dell’esistenza.

«Ho percepito la necessità di fissare quel biennio— spiega l’autrice — il ’67 e il 1968, fino alla tragedia di piazza Fontana, l’addio all’innocenza per la gran parte dei ragazzi. Seguirono nuvole nere che imbrattarono i nostri cieli coprendo in parte l’essenza dei fondamentali passi precedenti, ma non frenando affatto l’entusiasmo della battaglia per la libertà, quella che poi avrebbe cambiato il nostro mondo».

L’opportunità di ascoltare Dandini è mercoledì 12 marzo, al Teatro Verdi di Pordenone, in occasione di “R-Evolution/Lab”, alle 19 in sala Grande. Alla barra del timone ci sarà la giornalista Marianna Aprile, la conduttrice di “InOnda” su La7.

Quanta nostalgia c’è nelle duecento pagine del libro, Serena?

«Non la definirei un’opera nostalgica, semmai una sollecitazione a ricreare la stessa sensazione di sogno e di energia positiva di allora. La gioventù della metà del Novecento edificò le basi per i decisivi futuri cambiamenti».

In realtà la generazione del fare e dello sgomitare ha lasciato il posto ai conversatori seriali sul web con poca voglia di ribaltare le regole malsane.

«Trovo che questa infornata sia migliore di come viene spiegata. Di norma l’ascolto dei drammi è attualmente dominante e così le voci dei giovani sono a volte soffocate. I giovanotti contemporanei hanno un imprinting internazionale e guardano alla salute del Pianeta. Essendo un’inguaribile ottimista ho la tendenza a vedere tutto rosa. Che avrebbero dovuto pensare i ragazzi della prima e della seconda guerra mondiale, allora?».

Abbiamo trovato una citazione su Pasolini, nel ricordo della poesia “Valle Giulia”, una nota battaglia del ’68 fra universitari e polizia.

«Sara sbatte contro la crudeltà di uno scontro e viene in soccorso il poeta, uno dei più lungimiranti intellettuali dello scorso secolo. Un veggente. Andrebbe letto e riletto con attenzione tutto di lui. Manca la sua lucidità».

Gli artisti, forse facendo leva sulla propria grande sensibilità, sono in grado di percepire ciò che accadrà domani.

«Vale la pena provarci, a volte gli strumenti sono gli stessi dei non artisti, è diversa soltanto la scansione. Il sistema romanzo, poi, ti istiga all’immaginazione, a curiosare cosa mai ci potrebbe stare oltre il presente e a giocare con la memoria. Siamo un’Italia un po’ scordarella, va detto. Ogni tanto una rilettura delle cose fa bene».

Perché si è infilata proprio nei Sessanta?

«Semplicemente mi faceva piacere riprodurre suoni e sensazioni a me familiari con l’aiuto di una ragazzina al tempo un po’ più grande di me».

Chi è Sara?

«Il suo credo è ribellarsi al destino già tracciato dai genitori. L’unica strada concessa all’epoca era un buon matrimonio, mentre lo studio veniva considerato un hobby per chi se lo poteva permettere. Furono anni turbolenti e luminosi, pensi soltanto al fiorire del cinema, della musica e della letteratura».

E si leggevano i Promessi sposi e il Capitale di Marx.

«Sara ci prova, certo, ma poi si stufa e passa a Satanik».

C’è un aggettivo che le piace affiancare alla scrittura?

«Una necessità totale, una cura. Per dirla alla Battiato è un centro di gravità permanente, un ottimo medicamento per la mia salute mentale».

Si affida a riti particolari quando compone?

«Assolutamente no. Tutto sgorga dall’improvvisazione. Lo studio a tavolino, a volte, è controproducente».

Dico “La Tv delle ragazze”. Più che mai un’icona della tv di fine Ottanta.

«L’abbiamo riproposta trent’anni dopo. Eravamo ribelli come Sara e abbiamo creduto che la comicità non appartenesse solamente al maschio. Mi interfacciai pure con un direttore meraviglioso qual era Angelo Guglielmi e ne uscì una bella prova collettiva».

Oggi chi si fida di sperimentare in televisione?

«Ah nessuno. È una Tv usato sicuro. E, spesso, nemmeno troppo sicuro».

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