“Sesso e ciclismo” a Pordenone, assolto il commissario di polizia

Vicedirigente dell’ufficio immigrazione era accusato di tentato abuso d’ufficio. Il legale di Stefano Cadelli: «Sin dall’inizio ho sostenuto la sua innocenza»

PORDENONE. Aveva chiesto di essere processato subito, per poter dimostrare la sua innocenza, dopo essere stato indagato – l’ipotesi di reato contestata era tentato abuso d’ufficio in concorso – per oltre tre anni. All’epoca, peraltro, la procura antimafia di Trieste aveva chiesto la sua sospensione dal servizio, misura cautelare che fu negata dal giudice per le indagini preliminari, che non ne aveva ravvisata necessità.

Il commissario Stefano Cadelli – attuale comandante della polizia ferroviaria di Pordenone e, all’epoca dei fatti contestati (ottobre 2009), vicedirigente dell’ufficio immigrazione della questura di Pordenone – ieri è stato assolto con formula piena dal giudice per l’udienza preliminare Roberta Bolzoni.

«E’ avvenuto ciò che dicevamo sin dalle prime battute dell’indagine. Il mio assistito non ha violato alcuna norma, anche perché se non avesse fatto ciò che gli era stato chiesto verosimilmente sarebbe stato indagato per omissione di atti d’ufficio», spiega l’avvocato Valter Santarossa.

Il commissario di polizia era entrato, sebbene in maniera marginale, nell’inchiesta dei carabinieri denominata “sesso e ciclismo”. Era accusato di avere fatto arrestate ed avere tentato di far espellere una donna dell’Est Europa, domiciliata a Conegliano, che aveva accusato un imprenditore di Caneva di averla segregata al Gajardin.

Il legale di Cadelli, alla precedente udienza, aveva chiesto e ottenuto il processo con il rito abbreviato, ovvero con i documenti già in possesso dell’accusa; il rito, in caso di condanna, prevede lo sconto di un terzo della pena.

Dunque, ieri la discussione. Il pubblico ministero Pier Umberto Vallerin aveva chiesto la condanna del commissario di polizia a otto mesi di reclusione; alla richiesta dell’accusa si era associato l’avvocato Ugo De Luchi, che assisteva la presunta vittima, che si era riservata di quantificare l’entità del risarcimento.

L’avvocato Valter Santarossa è andato dritto alla richiesta: assolvere per non avere commesso il fatto, formula piena. «Appresa la notizia di reato – ha spiegato il legale – il mio assistito doveva attivarsi perché altrimenti avrebbe commesso un’omissione di atti d’ufficio». La straniera, in sostanza era in Italia illegittimamente – era stata espulsa dalla questura di Treviso – e quindi andava arrestata per clandestinità; l’arresto, peraltro, era stato convalidato dal gip. Non fu espulsa perché era madre e la prole non si trovava.

La donna impugnò l’espulsione al Tar, che accolse il ricorso per un vizio di forma: non le era stato notificato l’avviso di avvio del procedimento di espulsione. I giudici amministrativi, però, avevano contestualmente invitato la questura «a ripetere l’espulsione, notificando l’atto».

L’inchiesta, all’epoca, suscitò molto scalpore. Un imprenditore e un agente di polizia municipale arrestati, altri due vigili indagati, accuse, sebbene marginali, al commissario di polizia e a un gioielliere di Nervesa della Battaglia; quest’ultimo, peraltro, ha chiesto il processo ordinario e per lui la prima udienza sarà a ottobre. Quella di ieri è la prima sentenza.

All’epoca la procura della dda aveva chiesto la sospensione dal servizio di Stefano Cadelli: il gip, però, l’aveva respinta, in quanto non aveva ravvisata la necessità. Tre anni dopo, l’assoluzione con formula piena.

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